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01/12/09

Trieste. Un demone disteso ad asciugare.

di Omar Longo


Casa. Scale. Scooter. In fondo alla via a sinistra. Semaforo. Verde. Via. Le auto attorno in correnti alterne. I fanali rossi delle luci posteriori anticipano il rosso all'incrocio. Aspetti masticando smog che il flusso si rianimi, costretto, costipato in una subitanea immobilità che non gli è congeniale. La piazza intravista accoglie l'inizio settimana con un pulviscolo di passanti che incrociano le loro scie speziate di coperte, di colazioni frettolose, in un intreccio di volti che non nascondono le pieghe del cuscino.
Tutti sanno dove stanno andando, pochi guarderanno dove. La ripetitività, l'abitudine, la mo notonia appiattiscono i sensi. Giorno dopo giorno la città viene vissuta in maniera utilitaristica; forse perché solo l'utilitarismo e la praticità spingono tante persone ad ammassarsi in isole di cemento.
Vivere la città in modo funzionale e abitudinario uccide la percezione della città stessa: è l'amico d'infanzia che non cambia mai, è il vecchio marito che più non può stupire, né entusiasmare.
Una visione statica che palesa il panificio come luogo in cui comprare il pane, la scuola come luogo per studiare, la via come spazio trasitorio da percorrere. Palazzi, strade, parchi scorrono come sfondi dell'agire quotidiano, scenografie inevitabili.
Ma ogni città ha un suo demone: uno spirito inafferrabile che serpeggia annidandosi ovunque: nelle piazze, agli angoli delle vie, all'entrata di un negozio. Non puoi vederlo, ma c'è e parla, e in epoche di conformismo feroce, di dittatura, urla così forte che gli uomini sono capaci di tutto pur di metterlo a tacere; un mostro multiforme che ha nidificato nella storia; un demone cittadino nato con gli sviluppi del centro abitato, maturato nutrendosi di rapporti causali.
La sua tana è la visione utilitaristica della città.
Conoscere la città significa sapere dov'è la tal via, la tale piazza, il determinato ufficio, il dato luogo di culto. Ciò ci permette di sfruttarla al meglio, muoverci con rapidità in una visione chiara della struttura cittadina: chiara, ma non vera. Se la verità non è chiarezza ma disvelamento (alètheia), nulla si dispiega dell'essenza di una città, se non i meri rapporti economici che la reggono. Il demone è tranquillo; non può essere visto anche se disteso al sole sulla piazza centrale. Spesso però accade che un gioco di rimandi di luce ne faccia percepire la presenza, che attraverso un abbaino si lasci intravedere: sono i momenti in cui, usciti dai luoghi di studio, di lavoro, dai bar, lo sguardo cade accidentalemente stanco e svogliato su una lapide commemorativa o sulla facciata di un palazzo che si discosta dagli altri. Se la curiosità abbatte la pigrizia, permettendo un'attenta osservazione, il demone comincia ad agitarsi; sa di poter esser svelato. Si muove con la titubanza di un animale avvicinato dall'uomo, ma nello sguardo lascia intuire l'intesa e i futuri giochi.
Trieste mostra il suo demone emerso dall'acqua appoggiato agli scogli del Carso ad asciugare, stretto in un lembo di terra troppo sottile per esser solo italiano: un demone che ha vissuto la città di frontiera, il porto franco della tolleranza religiosa.
- Come ti chiami? - spesso è la prima domanda nelle presentazioni, ma qui, la seconda è sicuramente - Da dove vieni? -. Qui la zolla di terra che ti ha cresciuto ha un significato preciso. Lo spazio è angusto, le etnie e i credi sono tanti. Venire da un luogo o da un altro a 4 km di distanza non è affatto lo stesso.
Il mio primo articolo all'interno di Pot-Pourri è un articolo programmatico: la traccia di un percorso per capire, conoscere e addomesticare il demone della città, per scoprire la sua storia, storia della sue genti.
Verde. Parti. La città corre veloce. Rosso. Ti fermi. Stop. Riparti. Rosso. Ti fermi. Stop.

3 commenti:

Tommaso Ramella ha detto...

Caspita, ci voleva un trevigiano per descrivere così lo spirito di Trieste...bellissimo articolo Omar, leggerlo è stato un piacere per un triestino che ogni tanto cerca di fermarsi a fare due passi tra un semaforo e l'altro, ma non sempre riesce a vedere attraverso il velo dell'abitudine il suo demone cittadino!

Stefano Tieri ha detto...

“D'una città non godi le sette o le settantasette meraviglie, ma la risposta che dà a una tua domanda” (Italo Calvino, "le città invisibili")

Lorenzo Natural ha detto...

Se questo è solo il preludio, non vedo l'ora che esca "l'opera"! Complimenti Omar, eccezionale fotografia di Trieste