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23/02/10

Del razzismo: spunti

di Andrea Tamaro

Giovedì 18/02/2010, viene presentata alla Sala della Lupa (Camera dei Deputati) la ricerca sul fenomeno della xenofobia e del razzismo, in rapporto ai giovani: emerge che, dei giovani sotto i 30 anni, il 50% è razzista.

Prima di procedere, sottolineiamo la terminologia.
Si vorrebbe far credere che il sostantivo razzismo, sia solo l' "ideologia fondata sull'arbitrario presupposto dell'esistenza di razze umane biologicamente e storicamente superiori, destinate al comando, e di altre inferiori, destinate alla sottomissione; anche teoria e prassi politica intese, con discriminazioni e persecuzioni, a conservare la "purezza" e ad assicurare il predominio assoluto della pretesa razza superiore" (Enc. Treccani). Questo è il razzismo istituzionalizzato e manifestatesi storicamente: nella Germania nazista, negli USA, nel Sudafrica.
Ma il razzismo si intende in modo più generico: "complesso di manifestazioni e di atteggiamenti di intolleranza originati da profondi e radicati pregiudizi ed espressi, da parte di appartenenti a una comunità, attraverso forme di disprezzo ed emarginazione, nei confronti di individui o gruppi appartenenti a comunità etniche e culturali diverse" (sempre Enc. Treccani). Questa seconda accezione di razzismo, è quella che ci troviamo ad affrontare in Italia.

Come sempre, le ricerche non sono certe né spesso riescono a rappresentare la realtà: sia come sia, anche se non fosse il 50%, ma il 25% ad essere razzista, o xenofoba, sarebbe già una situazione gravissima. Se i giovani cadono preda dei pregiudizi o vengono alimentati all'avversione verso lo "xenos", lo straniero, l'ospite, "quello strano", come potremo mai cercare di limitare fino ad eliminare, o quasi, questi fenomeni in Italia? Se il giovane, che dovrebbe avere una mente più aperta, libera e flessibile, grazie alla propria educazione scolastica o magari alle proprie esperienze di vita (fino alla maggiore età se ne possono avere, e tante) cade nella "morsa" dell'ignoranza magari ascoltando qualche politico o qualche partito "violento", come possiamo sperare che non accada agli adulti, magari oltremodo stressati dalla difficoltà della vita di cadere nel tranello di trovare, nello straniero, il colpevole dei propri problemi?

Perchè sono gli immigrati, a varie riprese, in vari periodi, ad essere additati come i colpevoli di questo o quel problema della società. Basta ricordare l'anno passato, il 2009: tutta la discussione sui reati commessi dai rom, gli stupri alla ribalta per un periodo sui giornali, le scelte vergognose di politica internazionale nella questione di quegli immigrati respinti in Libia. Il 2010 si è aperto con Rosarno.

Qual è la questione fondamentale? Gli immigrati compiono una quantità di lavori spesso faticosi o degradanti dal nostro punto di vista che gli italiani non farebbero? Quasi sempre. Gli immigrati arrivano qui con la richiesta d'asilo, perchè scappano da Stati dove non c'è il rispetto dei diritti umani, dove muoiono di fame o dove sono perseguitati? Quasi sempre.
Dunque perchè non aiutarli, visto che è anche un principio fondamentale della Costituzione(art.10)? Perchè dovremmo pensare, temere che un flusso migratorio, da questo o quel paese, possa mettere in pericolo(?), annientare(?), il nostro paese o la nostra cultura?

Dovremmo temere l'invasione, come è chiamata dalla Lega, e recentemente l'ha detto pure il Presidente del Consiglio, di gente che spesso soffre, che è obbligata per disperazione ad abbandonare la propria Patria?
Di solito le risposte positive si incentrano sui problemi di ordine pubblico.
Certo, capita che certi immigrati delinquano, ma esistono, per i reati, le contromisure (più o meno) adeguate, qualsiasi sia il soggetto (possono nascere dei problemi a livello di diritto internazionale, ma dovrebbe essere compito del Parlamento risolverli).

In conclusione: non si vuole sostenere che tutti gli immigrati siano in "buona fede", che nessuno delinqua, ecc. Ma nemmeno si può sperare di sostenere che poichè alcuni delinquono, tutti debbano essere "marchiati" come delinquenti, tanto più se a sostenerlo è quell' "elité" politica che non è certo immacolata, e nemmeno limpida.
Di conseguenza la tesi: gli immigrati non li vogliamo per la nostra sicurezza, è un'affermazione senza senso.

Cosa dovrebbe cambiare in Italia dunque, acciochè il razzismo si riduca e le tesi di certi partiti, vengano completamente debellate?
Prima di tutto l'educazione: nella scuola, a tutti i livelli, deve essere insegnato il rispetto alla/della diversità e perchè no, l'educazione civica, può finalmente far capire bene il significato dell'articolo 2 e 3 della Costituzione, che parlano proprio dell'uguaglianza.
Poi c'è lo Stato: dovrebbe incentivare l'integrazione, ma ciò richiederebbe un chiaro segnale a livello politico.
E naturalmente ci siamo noi, singoli individui, che possiamo cercare di far del nostro meglio per criticare o riprendere i razzisti; non servirà, ma avremo cercato di cambiare le cose.
E infine c'è un'ultima possibilità: viaggiare. Il più possibile, con mete in diversi continenti. Perchè non c'è assolutamente niente di più proficuo che vedere con i propri occhi quanto i popoli possano essere diversi nelle proprie tradizioni, costumi,... ma uguali nel semplice(magari) fatto di esser tutti esseri umani.


19/02/10

Trieste. La morte di Oberdank.

di Omar Longo.


Ogni volta che scrivo su Trieste soffia la Bora. La penna è scossa dalle raffiche, ondeggia sul foglio stendendo ciò che la città sussurra. Lungo le Rive il disco amaranto del sole si eclissa alle spalle di Venezia. I lampioni sono già accesi da quasi un'ora lungo i viali. Le auto sfrecciano zigzagando, evitando il vento e i pedoni che mani in tasca, collo ricurvo, si muovono velocemente intirizziti dal freddo.
Gli angoli del foglio svolazzano, la carta vibra.
Centinaia, migliaia di lampioni ovunque: sentinelle del giorno che rubano spazio alla notte che assedia la città. Grappoli di luce dal palo inarcato, come stanco dal peso.
E per le vie della città, ad ogni lampione, per illuminarne anche nel buio l'esempio, un Oberdan impiccato. Centinaia, migliaia di Oberdan ovunque. Le autorità hanno deciso che non bisogna dimenticare il sacrificio di un proprio figlio. In ogni luogo pubblico hanno issato la sagoma dell'eroe pendente dipinto di verde, bianco e rosso. Con il vento, a molti Oberdan sono volate le scarpe. Alcuni sono volati per intero, finiti chissà dove, magari impigliati tra i rami della pineta di Barcola. Sono casi rari: da sempre il governo si assicura di fornire corde resistenti. Sui pennoni e sulle alabarde, persino sul tettuccio degli autobus, sventola il cadavere tricolore per rinnovare quotidianamente il ricordo del martirio. L'uomo che pende dice che in molti sono morti affinché questa terra appartenesse all'Italia; dice che dobbiamo essere orgogliosi di essere italiani. Le autorità lo lasciano dire; anzi lo obbligano a parlare. A nulla sono valse le proteste del comitato genitori preoccupato che i prorpi figli prendessero troppo sul serio l'esempio dell'eroe. Nei locali alla moda alcuni dirigenti di banca hanno iniziato a portare cravatte rigide rivolte verso l'alto. Oberdan fa tendenza. Piazze, vie, scuole prendono il suo nome.
Lo guardo pendere dal lampione: la luce rasente ad illuminarne il profilo, la barba poca folta, la linea delle spalle. Il vento lo muove in modo tale che sembra camminare nell'aria: un passo, il secondo, un terzo, poi indietro e di nuovo un, due, tre. Sta ballando. A mezz'aria, sospesi sopra le entrate dei negozi di Corso Italia, gli Oberdan si sciolgono in una danza macabra. Perché le autorità si ostinano a farli danzare senza posa fiaccando i giovani respiri? L'Italia, terra dell'arte e della cultura, ha molte altre salme da riesumare e da mettere in mostra. Perché non issare un Dante, un Leonardo oppure un Giordano Bruno? Il sindaco già si è espresso a favore di Oberdan perché più pratico d'appendere; ma non può essere solo questo. Perché allora? Perché Oberdan è l'unione di due culture che hanno caratterizzato Trieste: quella italiana e quella slovena, troppo spesso divise e in lui unite. Un politico mi sembra falso anche solo se respira. L'Italia è la madre di Oberdan e come tale deve celebrare il proprio figlio.
Semmai è il padre, un padre di origine veneta che lo ha abbandonato, mentre la madre, colei che gli ha dato il cognome, è slovena. Nell'Olimpo degli italiani di Trieste, il semidio italo-sloveno Oberdan doveva morire da eroe per assurgere al livello del padre, e così è stato. Secondo Elio Apih, a Trieste si ricordano due momenti nella storia dell'irredentismo: il primo periodo copre gli anni tra il 1878 e il 1882, fino alla morte di Oberdan e alla firma della Triplice Alleanza; il secondo periodo è successivo e spiccatamente antislavo. Ma il paladino dell'unione delle due culture è morto come Oberdan, non come Oberdank. Ha rinnegato il suo nome o come si usa dire lo ha italianizzato volontariamente, assetato di conformismo, per sentiri accettato in una terra che gli faceva pesare le sue origini. Appendendolo a tanti lampioni in giro per la città le autorità hanno voluto dare l'esempio del buon slavo che volontariamente si italianizza dimenticando chi è veramente.
Ora che lo guardo con più attenzione riconosco in lui non il martire impiccato, ma la pianta sradicata, le radici all'aria a rinsecchire volontariamente. La Bora abbatte gli alberi che rinunciano alle radici.
Oberdan è asceso all'Olimpo italiano, con le cervicali, zoppo, ma pur sempre eroe.

Il tifone chiamato Hack

di Giulio Rosani

Ovunque vada e con chiunque entri in contatto questo "fenomeno della natura" scombussola completamente chi l'ascolta; il prossimo ciclone che si abbatterà sugli Usa potrebbero tranquillamente chiamarlo con il suo nome. Mi sto riferendo ovviamente a Margherita Hack, professore emerito di astronomia all'Università di Trieste, che il 6 febbraio ha presentato il suo nuovo libro a "Che tempo che fa" su Rai Tre. Effettivamente più che la presentazione del libro è stato interessante ascoltare cosa avesse da dire riguardo a temi abbastanza rilevanti per il mondo della fisica come per quello della matematica. Avendo aggiunto il solito pizzico di "Hack" al discorso, risulterà un po' difficile rimanere su toni neutrali, ma cercherò lo stesso di addolcire la pillola. Intanto per chi volesse sentire l'opinione della signora Hack, senza passare attraverso il mio filtro, pubblico il link del sito di podcast della rai:

http://www.tg3.rai.it/dl/RaiTV/programmi/media/ContentItem-d770d4ab-c36f-4c3f-ab24-36545e39f5ed.html?p=0

Per chi invece volesse continuare a leggere schematizzerò i contenuti dell'intervista e darò alcuni spunti di riflessione importanti secondo la mia opinione.

La prima domanda di Fazio porta subito ad un'afferazione interessante: le stelle emettono rumori e noi possimo ascoltarli con l'attrezzatura adeguata. La spiegazione sta nel fatto che le stelle emettono luce, ovvero onde elettromagnetiche, onde radio, che noi possiamo captare tramite un'antenna e riproporre come suoni. Si può così distinguere una stella come il sole, che quando è calmo (quando la sua attività è minima) emette un brusio simile al suono del vento, da una pulsar il cui suono è un continuo "bippare" con intervalli di tempo fra un bip e l'altro dell'ordine di una frazione di secondo. Piccola parentesi, le pulsare sono stelle di neutroni molto dense che hanno un campo magnetico molto esteso e perpendicolare all'asse di rotazione. Quindi a ogni giro è come se inviassero un segnale verso la Terra ogni volta che il loro asse magnetico è diretto verso di noi. La loro rotazione è così elevata da compiere più giri al secondo. Nonstante questi rumori, l'universo rimane silenzioso all'orecchio umano, perché senza gli strumenti adatti questi segnali non possono essere captati. Inoltre essendo l'universo "vuoto", il suono non si propagherebbe comunque.
In conclusione si tratta di onde radio che vengono rivelate con il suono, non di suoni veri e propri.

Entriamo ora nella seconda questione importante dell'intervista. Alla Hack viene chiesto se in Italia siamo in condizione di studiare e di fare ricerca. Molto banalmente, come penso sapranno tutti, la risposta è no, in Italia non si può fare ricerca a meno di non considerare la morte di fame o il mantenimento a vita da parte dei genitori. Infatti molti dei nostri cervelli migliori vanno all'estero a lavorare e con risultati ottimi. Quello che però interessa di quello che dice l'ospite di Fazio è che ci sarebbe un modo per far "funzionare la baracca" (come direbbe il mio prof di analisi) e che in teoria la legge sarebbe già in vigore, ma che per "problemi burocratici" non viene applicata. L'idea consiste nel fare concorsi ogni tot anni in modo da promuovere chi sta sotto nella struttura universitaria e fare spazio ai nuovi arrivati. Se dopo un certo periodo non si riesce a salire di grado, bisogna far posto ad altri. La cosa ovviamente non avviene. A parte questo la Hack sottolinea che le nostre università non sono da buttare, anzi quelle con una storia dietro sono molto, ma molto buone.

Terzo punto è la libertà o non-libertà della scienza rispetto allo stato e alla Chiesa, soprattutto. La scienza a-biologica non è più in pericolo da molto, ma la scienza biologica ancora ha dei problemi con la morale o la religione. Infatti molte ricerche importanti, quale quella sulle cellule staminali, sono ostacolate da preconcetti moraleggianti, nonostante il loro scopo sia fare del bene, come curare il cancro. Il testamento biologico è un'altro aspetto della vicenda, che risulta più difficile del dovuto per colpa di questa morale che bisogna mantenere come facciata. Se guardiamo bene, è giusto e morale privare un individuo della scelta di come voler vivere la sua vita? (Altra parentesi, purtroppo su questo argomento non posso evitare di dare la mia opinione, vorrei però che non diventasse tema di discussione, prendetela come una mia idea e basta.) Quindi la Hack sostiene la causa di una scienza più libera per un sapere più ampio e così una vita migliore, si spera.
Viene sottolineato inoltre che, cito direttamente, "gli scienziati sanno benissimo che la scienza non è in grado di spiegare tutto. Per esempio noi sappiamo ricostruire molto bene tutta la storia passata dell'universo, fino all'inizio, però se mi si domanda: perché c'è stato l'inizio? Perché c'è l'universo? Questo non lo so, è un dato di fatto che c'è, e noi lo studiamo." Quindi lo scienziato non può dare risposte al perché del mondo, egli si limita a descrivere il come, però lo fa bene.

Infine, ultimo punto, il fatto che la matematica oggigiorno sia veramente "snobbata". Soprattutto tra le mie conoscenze, molti addirittura si vantano di non capire la matematica. Questo può essere dovuto alla tradizione ottocentesca che vedeva nello scienziato l'uomo dalla mente piccola, contrapposto al filosofo che invece pensava in grande. Vorrei ora uscire dall'ambito Hack e riportare parti di una discussione tra me e Tommaso. Intanto vorrei far notare ai filosofi, che loro sono ancora al punto di partenza, perché, come mi diceva Tommaso, l'unico modo che hanno per correggere gli errori o le imprecisioni dei loro predecessori è di fare tabula rasa di tutto e ripartire da capo. Così arrivare alla fine è decisamente più difficile, meglio costruire pian piano una visione del mondo in base ai dati che ci sono stati lasciati. Visione del mondo puramente funzionale, di nuovo, nessuno scienziato pretende di dire perché esistiamo. Inoltre il fatto di vantarsi di non capire la matematica è, a mio avviso, un po' triste, in quanto la matematica altro non è che pensiero umano, logica e le sue conseguenze. Posso capire che imparare le tabelline a memoria sia noioso e volendo anche poco collegato alla matematica, che con la memoria ha poco a che fare, ma non capire il procedimento significa non capire il pensiero umano, non saper pensare o non volerlo fare. Il secondo caso è quello più frequente ed il motivo del perché ci troviamo a volte in situazioni complicatissime, quando con un po' di testa avremmo potuto evitarle. A pensare si fa fatica, ma è una cosa indispensabile se si vuole vivere al massimo la propria vita.

Concludo solo consigliando la visione dell'intervista di Margherita Hack, il cui contenuto è lungi dall'essere riassunto in questo articolo. Io personalmente trovo che possa essere un'inizio verso un'apertura alla scienza libera e supportata in Italia, se preso seriamente, si capisce.

02/02/10

Quel grande statista di Bettino

di Stefano Tieri


«Vi sono molti italiani per cui il caso Craxi è ancora, e deve restare, esclusivamente giudiziario. [...] Credo che commettano un errore. Non possiamo ridurre la vita di Craxi al suo epilogo giudiziario» (Sergio Romano, Corriere della Sera, 18 gennaio 2010).
Lasciamo quindi da parte le due condanne in via definitiva, a cui faremo soltanto un breve accenno alla fine dell'articolo, e parliamo del Craxi “statista”.


Politica economica:
Il periodo di massima influenza di Bettino Craxi si può individuare dalle elezioni del 1979 a quelle del 1992. Nel 1980 il rapporto debito/Pil è pari al 56,6%, nel 1992 è praticamente raddoppiato, arrivando a 105,2%. Cos'è successo nel frattempo? Alla fine degli anni Settanza il livello del debito pubblico aveva raggiunto quote considerevoli; Craxi, salito al potere, avrebbe dovuto - da “grande statista” - far scendere la spesa al di sotto delle entrate tributarie: solo in questo modo si sarebbe stabilizzato il rapporto debito/Pil. Ebbene, la direzione intrapresa dall'allora Presidente del Consiglio fu opposta, e la spesa continuò a salire (dal 36,9% del Pil nel 1980 al 41,7% nel 1983, stabilizzandosi intorno al 42-43% nel 1992), nonostante all'epoca ci si trovasse dinanzi a condizioni favorevoli nel ciclo internazionale, che avrebbero permesso di ridurre le spese senza alcun contraccolpo nella politica interna.
L'unica spesa che si andò a ridurre fu quella destinata alle paghe dei lavoratori: il 14 febbraio 1984 infatti un decreto del governo Craxi, in seguito convertito nella legge 219/1984, abolì la “scala mobile” - l'aumento della retribuzione da lavoro in accordo all'aumento del costo della vita - la quale permetteva che rimanesse costante il potere d'acquisto. Che la manovra fosse o meno necessaria, per ragioni di bilancio, economisti e politici ne hanno discusso a lungo (e ne discutono tuttora); colpisce tuttavia che, in un periodo in cui la corruzione era già molto diffusa anche in ambienti politici, si cercò di risolvere il problema - causato in larga parte proprio dalle tangenti - aggravando il peso sulle spalle di lavoratori che agivano nella piena legalità, e non invece combattendo l'illegalità, ad esempio nella gestione dei subappalti che portava ad un aumento vertiginoso del costo per qualsiasi costruzione in suolo italiano (per maggiori informazioni si veda il capitolo “condanne”). Il denaro mangia se stesso, in una spirale sempre tesa al raggiungimento di una maggiore ricchezza.
Un'altra “soluzione” viene trovata nell'aumento delle imposte dirette, che porta ad un corrispondente aumento del Pil (da 31,4% a 41,9%, dal 1980 al 1992). La spesa però cresce ancora, e nei quattro anni di Craxi alla presidenza del Consiglio il rapporto debito/Pil aumenta di 20 punti, giungendo nel 1987 al 88,5% e al 105,2% nel 1992, anno dell'inizio di Tangentopoli e della discesa politica di Craxi (fino ad allora rimasto in posizioni di potere: erano gli anni del CAF).


Politica interna:
Tra le sue “grandi riforme”, spicca il rinnovo del concordato con la Chiesa (datato 18 febbraio 1984). Ma è stato veramente merito suo? A leggerlo, lo spirito laico da dirigente del PSI non emerge affatto (basti dare un'occhiata all'articolo 9 comma 1, dove di fatto si apre la strada ai finanziamenti pubblici alle scuole cattoliche - quindi private). Il nuovo Concordato, come rivela “La Stampa”, era già pronto prima del suo arrivo alla presidenza del Consiglio e da lui è stato solo firmato: a dimostrarlo un protocollo del 1976 sottoposto da Aldo Moro a Pietro Nenni, il quale è stato alla base - senza che ne venissero minimamente cambiate le linee guida - del nuovo concordato siglato da Craxi. «Non ho mai avvertito la presenza di Craxi se non al momento della firma», dichiara sempre a “La Stampa” Lajolo il quale si è occupato, insieme al cardinale Agostino Casaroli, della revisione del concordato. Potremmo dire, con piglio satirico, che di questa riforma Craxi sia stato un semplice prestanome; ma ci sarebbe ben poco da ridere.
Da non dimenticare poi il più grande condono che la storia italiana ricordi (anche questo volto a racimolare un po' di denaro, visti gli sperperi figli di un sistema corrotto come quello dell'Italia craxiana), una vera e propria legalizzazione degli abusi edilizî, a firma di Nicolazzi nel 1985. Se non altro perché, visto il suo lungo e tortuoso iter parlamentare, nell'attesa che la legge venisse promulgata (un anno e mezzo) nel Bel Paese sono sorte un milione di nuove costruzioni abusive.
Infine la legge Mammì (legge 223/1990), con cui le tv dell'allora imprenditore Silvio Berlusconi, le quali trasmettevano illegalmente su tutto il territorio nazionale, sarebbero state messe a norma. Legge bocciata dalla Corte Costituzionale (con sentenza 5-7 dicembre 1994, n.420) a causa dell'incostituzionalità dell'art. 15, quarto comma («Le concessioni in ambito nazionale riguardanti sia la radiodiffusione televisiva che sonora, rilasciate complessivamente ad un medesimo soggetto, a soggetti controllati da o collegati a soggetti i quali a loro volta controllino altri titolari di concessioni, non possono superare il 25% del numero di reti nazionali previste dal piano di assegnazione e comunque il numero di tre»), nella parte relativa alla radiodiffusione televisiva: vìola infatti il principio pluralistico espresso dall'articolo 21 della Costituzione. Ma a qualcosa questa legge è servita: il “grande statista” Craxi ha infatti intascato, sui conti constellation financiere e northern holding - entrambi gestiti da Giorgio Tradati - una tangente di 21 miliardi versata dallo stesso Berlusconi.


Politica estera:
Riguardo i rapporti con i paesi esteri resta la “crisi di Sigonella” del 1985, ultimo segnale di netta contrapposizione al governo degli Stati Uniti da parte di quello italiano. Un segnale forte, visto di buon occhio da chiunque mal sopporti la politica imperialistica americana. Ma quant'è vera e profonda questa rottura con gli USA? Da un fascicolo riservato del Sisde, datato 12 giugno 1980 (quando il Psi era già da 4 anni nelle mani di Craxi) e pubblicato dall'Espresso il 7 gennaio 1994, viene riportato una vicenda interessante: prima dell'arrivo di Jimmy Carter - all'epoca presidente degli Stati Uniti - in Italia, la Cia si occupa di acquisire notizie riguardanti l'assetto politico italiano; da una «fonte solitamente bene informata» emerge che Claridge e Healy, due funzionari della Cia, si sono mostrati molto interessati riguardo il «ruolo del Psi nella situazione politica attuale». Questo particolare interessamento viene giustificato, dal Sisde, con i «consistenti aiuti da parte americana verso il Partito Socialista Italiano». Fino a che punto si può quindi parlare di opposizione all'America, se questi sono i presupposti?


Condanne:
Passiamo ora ai procedimenti giudiziarî: Craxi è stato condannato in via definitiva a 5 anni e 6 mesi di reclusione il 12 novembre 1996 - ma da luglio 1995 era latitante ad Hammamet - per le tangenti (17 miliardi di lire) pagate alla Sai nell'aprile 1992 per aggiudicarsi in monopolio l'assicurazione di oltre 120 mila dipendenti dell'Eni.
Inoltre è stato condannato (sempre in via definitiva) a 4 anni e 6 mesi il 20 aprile 1999 per le corruzioni e i finanziamenti illeciti negli appalti della metropolitana milanese e del Passante ferroviario.
N.B. In quegli anni per costruire un km di metropolitana a Milano ci volevano 192 miliardi, ad Amburgo 45.


Che quest'accenno serva da memorandum: perché se è pur vero che «non si può ridurre la vita di Craxi al suo epilogo giudiziario», è anche vero che quest'epilogo non lo si può ignorare completamente. E magari dedicare al “grande statista” una via.