BLOGGER TEMPLATES AND TWITTER BACKGROUNDS

01/12/09

Case, palazzi, grattacieli e in mezzo un dramma vecchio come il nostro.

di Eliana Arnò

Davanti a me c'era C. Si era fatta da poco l'henné e i suoi capelli tra il rosso scuro e il mogano profumavano di buono. Mi divertivo a soffiarle nei capelli e a guardarli mentre sbarazzini e coraggiosi tornavano al loro posto. Dietro di me si era appoggiata una ragazza. Non ne ricordo il nome: pensai solo che non doveva essere tanto più alta di me, sentivo le sue tette sulle mie scapole.
Eravamo in fila e aspettavamo il segnale di B. che ci avrebbe fatto mettere una di fianco all'altra. Il segnale arrivò, e disponendoci come previsto, mi trovai davanti ad un albero dal tronco malconcio. Era il momento di lasciare a terra i bigliettini che tenevamo saldamente in mano: saldamente perché le mani cercavano invano di ripararsi dal freddo. Era bella l'idea del bigliettino incastonato in quel tronco della Val Rosandra. Così, dopo qualche manovra, lasciai quel foglietto con su scritto "
Io cammino da sola" lì da solo, a riflettere su quella giornata, mentre gli occhi di tutti erano per noi, e non per lui.
Eravamo in poche, in piazza O. Cinque, forse sei...quasi tutte con le facce assonnate. In realtà erano già le otto e mezza del mattino, ma sognavamo tutte la stessa cosa: un capo in b. Dopo un pò arrivò il pullman ed il resto delle ragazze. Quel giorno saremmo andate a Muggia, Bagnoli, Trieste, Opicina, Duino, e lì avremmo sfilato. Una ragazza venuta da Venezia la sera prima avrebbe accompagnato le sfilate con la fisarmonica, unica voce del gruppo.
L'idea era di camminare in fila lungo le strade, in silenzio, indossando con semplicità gli abiti che le sarte di Cassiopea ci avevano aggiustato addosso. All'asta il ricavato dei nostri abiti sarebbe stato donato a una donna vittima di violenza.
Eravamo un'allegra brigata dagli undici ai cinquant'anni. Era divertente vederci assieme: chi indaffarata a cambiarsi, chi a truccarsi, chi a ripararsi dal mal d'auto..per non parlare dei soliti discorsi da donna, quelle banali e gustose sentenze sull'ultima frontiera dell'assorbente.
Insomma, cominciava bene quella giornata: ci sentivamo leggere, euforiche, nonostante il grigio umido della città e il peso che portava quella data: era il 25 novembre.
Quarantanove anni prima tre sorelle, un pò meno silenziose della nostra sfilata dal passo leggero, erano state brutalmente trucidate. Il rumore della loro morte fu così forte che a distanza di anni si decise di ricordare quel giorno e di dargli un nome:
giornata internazionale contro la violenza sulle donne.
La violenza di genere però è fin troppo silenziosa: i casi di violenza non denunciati superano i casi in cui la donna trova la forza di parlare.
Conobbi una persona qualche tempo fa. Mi raccontò che capì di esser stata violentata soltanto dopo aver parlato con degli amici. Il suo "No, non voglio" di una stupida serata passata tra fumi dell'alcool e fumi, le sembrò troppo poco convincente che quasi si era sentita responsabile dell'accaduto. Come può una donna non capire di esser stata violentata?
Mi è difficile comprenderlo. Probabilmente la vergogna di riconoscere che la situazione creata poteva essere evitata era tale da farla sentire responsabile. Che rovinosa questa vergogna che porta dritto al senso di colpa. Se una donna arriva a sentirsi responsabile, il mondo che le gira attorno deve farla sentire come la mela rossa della tentazione, come una colpa primitiva e ancestrale. La società ha occhi e testa di uomo ma corpo di donna; ci si è abituate a darsi la colpa anche da vittime. Il problema però è doppio. La donna è preda di questa società maschilista che la giudica e contemporaneamente è vittima di se stessa, educata dai medesimi princìpi che la opprimono; ma l'intimo pensiero che una persona ha di sé è mille volte più cupo e senza fine di qualsiasi altro.
Mentre sfilavamo, un uomo violando il silenzio che ci portavamo addosso disse: "Se andaste in giro vestite sempre così, non avreste da temere stupri. Brave, brave". I nostri abiti erano neri misti a color panna. Le gonne arrivavano sotto le ginocchia, gli scialli o le mantelline ci coprivano le spalle, le scarpe sobrie: gli ornamenti non erano molto vistosi, c'erano delle cuciture sinuose che s'insinuavano nei tessuti. Solo un idiota avrebbe potuto confondere la dignità dei nostri abiti con un'armatura fittizia. Oltre ad essere di cattivo gusto, è una chiara manifestazione di come comunemente viene vista la violenza sulle donne, cioè come puro fatto fisico, oscurando o non considerando nemmeno quella violenza talmente silenziosa da essere assordante, quella che si perpetua nel tempo, nascosta negli angoli delle case da persiane semichiuse; una violenza in sordina che porta il nome dell'indifferenza.
La sfilata si è conclusa davanti all'ingresso del teatro dell' ex opp. Ognuna di noi aveva una frase da leggere: frasi scelte tra le tante scritte da donne contro la violenza che ci affligge.
Inizia B. a leggere poi, scavalcandola C., dopo ancora tocca a me, e con la voce salto sopra le parole che volavano nell'aria.
Come una fila di domino, prendevamo il via una dopo l'altra, fino a che il bisbiglio si fece brusio, e il brusio scroscio, e lo scroscio divenne voce, una voce sola.

(il mio) film del mese:
Matrimonio all'italiana, di Vittorio De Sica, 1964.
Il titolo dell'articolo è tratto dal film sopracitato.

1 commenti:

Tommaso Ramella ha detto...

"La società ha occhi e testa di uomo ma corpo di donna", come dirlo meglio? Quello che mi sconforta è vedere così tante ragazze convinte di non vivere in una società maschilista, perfettamente a proprio agio di fronte alla continua violenza, mediatica e non, a cui sono sottoposte...abbiamo messo loro in fronte i nostri occhi, pensano a se stesse come uomini, ma il corpo esibito davanti a tutti è il loro.