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29/01/10

Nostalgia, estetica e sacrificio. Yukio Mishima e il sogno del ritorno del Sole Imperiale

di Lorenzo Natural




"La vita umana è breve, ma io vorrei vivere per sempre."

Ci sono personaggi che il passato ci ha donato e che ci appaiono misteriosi, difficili da decifrare. O semplicemente siamo noi a non essere in grado di comprenderne il significato e l'insegnamento che hanno lasciato tra il turbinio del veloce e inesorabile incedere della Storia. Yukio Mishima è sicuramente uno di questi: drammaturgo, scrittore di apprezzato valore, l'unico autore giapponese moderno che "fosse degno di mettere in scena le proprie rappresentazioni di teatro Kabuchi e No"; ma anche un uomo che non ha avuto paura di affrontare la morte come pegno per la fedeltà che da sempre ha donato al suo paese, il Giappone.
Sarebbe riduttivo parlare di Mishima citando le sue opere o tracciandone una mera vicenda artistico-biografica, tralasciando ciò che veramente risplende nelle coscienze di chi ha la fortuna di capirne la statura e la grandezza. Tuttavia, presumendo che non tutti abbiano presente la figura di Mishima, ritengo che un cenno alla situazione e al contesto in cui egli si inserisce sia obbligatoria.

Terminata la Seconda Guerra Mondiale con la vittoria delle democrazia statunitense e di quelle europee, il Giappone -che come ben sappiamo formava il cosiddetto asse Roma-Berlino-Tokyo in contrapposizione alle prime potenze da me citate- si ritrovava in una situazione molto delicata: da una parte gli ultimi brandelli di resistenza (eroica, ma disorganizzata) anti-americana, dall'altra un Paese devastato dai bombardamenti di Nagasaki e Hiroshima. Per evitare di cadere nel baratro dell'isolamento, il governo e l'imperatore decisero di approvare una nuova costituzione pacifista nel 1947, de facto proposta dagli Stati Uniti, paese che occupò l'ex Impero del Sol Levante fino al 1952. Il Giappone si ritrovò, così, a pagare a caro prezzo la sconfitta del conflitto: tuttavia -aiutata dagli stessi USA- la ripresa economica fu quasi immediata, facendo del Giappone uno dei pilastri dell'economia mondiale del mondo moderno.
Se questa vena progressista ha fin dal '52 mostrato il suo lato positivo, è inutile nascondere che la totale sottomissione ai vincitori ha leso in modo quasi definitivo le millenarie radici dell'Impero Giapponese, e con esse lo spirito degli uomini che avevano dedicato anima e corpo all'ideale supremo della sacralità imperiale.

E in questo humus politico, tra vecchi eroi dimenticati e giovani ragazzi con lo spirito e lo sguardo ancora rivolti alla luce del Sole a sedici raggi della vecchia bandiera dell'arcipelago, si inserisce la giovane vita di Yukio Mishima (pseudonimo di Hiraoka Kimitake).
Naturalmente le solite malelingue moraliste non hanno esitato a definire Mishima un "filo-nazifascista" (termine alquanto improprio, ma di cui si è fatto -e si fa- un uso spropositato), non riuscendo ad accettare la figura di un uomo che, nonostante la sconfitta del proprio Paese, è rimasto fedele ad esso fino all'ultimo giorno della sua vita. Mishima non era un estremista, non amava definirsi né di destra né di sinistra: era un tradizionalista, un nazionalista, un conservatore decadente, come lo definì emblematicamente Moravia. Non voleva lasciare che il Giappone si piegasse alle leggi del mercato capitalista statunitense a discapito delle secolari leggi del codice d'onore samurai e del Bushi-do: insomma, verrebbe da dire un sognatore, un romantico che non accettava di sottomettersi ai nuovi padroni, ben sapendo, in cuor suo, che la sua resistenza sarebbe risultata infruttuosa, a lungo termine.

Il primo Mishima, tuttavia, era un giovane ragazzo come tanti, impegnato in studi e attività lavorative di ambito giuridico, che ben presto scoprì non essere adatte al suo stesso ego. Yukio lasciò questa strada per intraprendere la via più dura della scrittura; in questa arte poté esprimere al meglio i propri sentimenti, che non riguardavano soltanto tematiche politiche, anzi: nei primi capolavori (Confessioni di una maschera e ancor di più in Colori Proibiti) traspare l'anima estetica dello scrittore. Tra le pagine delle sue opere s'intrecciano -con interessanti spunti autobiografici- storie di novelli Narciso, relazioni omosessuali e analisi psicologiche. Il culto della bellezza estetica divenne uno dei capisaldi di Mishima: un culto del proprio corpo talvolta esasperato, ma che coincide con l'ideale di perfezione riconducibile non solo allo spirito della cultura giapponese, ma addirittura alle Tradizioni dei perfetti fisici degli uomini e dei semi-dèi dell'Antica Grecia, a cui Yukio spesso affermò di ispirarsi.
Un'adorazione e cura del proprio corpo che lo portarono a cimentarsi nel culturismo, oltre alla pratica di numerosi arti marziali. La ricerca di un perfetto equilibrio tra estetica e interiorità, pensiero e "armatura", esteriorità e essenza furono sempre alla base della sua vita.

In Mishima, questa condotta di vita ebbe notevole influenza sull'aspetto spirituale, ma soprattutto "politico". La sua devozione quasi maniacale all'allenamento continuo del proprio corpo, portò Yukio a fondare il Tate no kai, un piccolo gruppo di fedeli guerrieri disposti a reincarnare i valori simbolo dei vecchi samurai: amore e difesa della Sacra Patria e ricerca del proprio equilibrio.
Onestà, Coraggio, Sincerità, Onore, Dovere e Lealtà: la via del guerriero che gli antichi maestri avevano tracciato, riviveva di luce splendente in Mishima e nel suo esercito. Il Sole imperiale tornava a splendere sull'Acciaio delle armature dei nuovi guerrieri giapponesi; l'Imperatore -visto come simbolo sacro alla Tradizione, e non come singolo uomo- era ancora circondato da un manipolo di uomini che avrebbero donato la loro stessa vita pur di difenderne l'ombra.

Tuttavia, a malincuore, Mishima dovette constatare come oramai il suo Paese era stato irreversibilmente corrotto dai nuovi dèi della modernità, insediatisi tra il feticismo delle merci e la cupidigia del mercato. Solo pochi continuavano a opporsi al Nuovo Giappone, lontanissimo parente di quell'ancestrale misticismo che caratterizzava il Vecchio Paese del Sol Levante.
Incapace di poter vivere in un mondo non suo, attanagliato da un sentimento di spaesamento interiore più che fisico, Mishima e gli ultimi samurai a lui fedeli decisero di urlare al Paese intero il loro ultimo grido di libertà. Occupato il palazzo dell'esercito di autodifesa, Mishima esaltò a gran voce, per l'ultima volta, lo spirito del Giappone Imperiale. Rimasto inascoltato, si tolse la vita assieme al fidato amico Morita con la pratica samurai del seppuku (da non confondere con l'harakiri). Il tutto venne ripreso dagli increduli obiettivi delle telecamere dei giornalisti, rimasti totalmente esterrefatti dalla lucidità che mantenne Mishima fino -e persino durante- il momento del suicidio.
E così il 25 novembre 1970 -data, peraltro, designata già alcuni mesi prima dallo stesso Mishima- , all'età di 45 anni Yukio Mishima decise di morire assieme al suo Paese, ormai sull'orlo del precipizio di quella modernità che lo scrittore giapponese aveva sempre combattuto. La fermezza, la calma, l'equilibrio raggiunto, permisero a Yukio di intraprendere il cammino verso la consapevolezza e la necessità della morte con una tale lucidità da spaventare qualsiasi uomo di questo tempo di mezzo della storia.
Un insegnamento a vivere e a morire che pochi uomini hanno saputo impregnare nelle vicende umane dell'ultimo cinquantennio.


Alla luce di ciò, tentare, come siamo soliti fare, di affibbiare a Mishima l'una o l'altra etichetta, non è soltanto riduttivo, ma disonorevole per un uomo, che nel Bene e nel Male, ha vissuto in funzione di un Ideale. Giudicare se sia stato più o meno sensato il sacrificio finale di Yukio non avrebbe alcun senso; come non lo avrebbero i giudizi moraleggianti su un presunto ripudio della vita da parte di Mishima.
Potrò apparire retorico, ma in un Paese depravato dalla sua essenza più viva, dalle sue Tradizioni più splendenti, dal suo fascino più occulto, Mishima ha saputo ridare vigore a tutto ciò. E se questo non è bastato per cambiare qualcosa a livello meramente pratico e politico, il suo ricordo resta indelebile in chi ha la fortuna di apprezzarne il significato, le sue gesta scolpite nella memoria della Storia, le sue opere impresse nei libri delle biblioteche.
Il sacrificio della propria vita rappresenta sì una difficile rinuncia alla volontà di "voler vivere per sempre", ma soprattutto l'ultimo atto di fedeltà a un ideale supremo, un "valore più alto del rispetto della vita. Un valore che non è la libertà, non è la democrazia, ma è il Giappone".

18/01/10

Trieste. La vecchia bambina e il passante tricentenario.

di Omar Longo


Trieste, una delle città più vecchie d'Italia, forse la più vecchia. Non come formazione, no, è l'età della popolazione che pesa. Lei è giovane, quasi una bambina, sempre impegnata a tenere a bada i suoi nonni. Tenere a bada o curare, la città è strutturata per gli anziani: un luna park per over 80 o una sorta di reparto geriatria a cielo aperto. Se il comune deve investire, investe sui vecchi, sicura fonte di voti. Essendoci sempre meno nascite, ci saranno sempre più anziani: il vero ricambio generazionale all'italiana.
Si aggirano per la città spesso silenziosi, sagome goffe nell'incedere. Da vicino, volti di corteccia nei quali rughe si dipartono dal nodo degli occhi, solcandoli alla base e appesantendone le sopracciglia, per poi discendere aggrappate alle labbra in gote avvizzite. Con movimenti lenti e cadenzati, come i loro passi, la pelle scende sul volto: turgida rugiada che si perde distruggendosi in rivoli sempre più sottili. Un carattere che ritorna bambino: non si tratta con i vecchi, quello che hanno capito in ottant'anni non puoi capirlo in meno di un trentennio. E forse è vero. Peccato che la tv ne abbia ammaccato parecchi facendoli marcire.
Chi può sapere che in mezzo a tanti uomini, proprio qui a Trieste, qualcuno non si sia dimenticato di morire, mimetizzandosi sempre più curvo tra i passanti ignari della sua straordinarietà. Un uomo piccolo, quieto, con una voce flebile, ma visibilmente allegro perché ancora in grado di attraversare piazza Unità, o piazza Grande come la chiamerebbe lui, con la tramontana, sorretto da un bastone antico con una figura equina d'avorio per impugnatura. I capelli radi che cadono ordinati quando il vento non li scompiglia. Spessi occhiali su fragili occhi. Magari puoi incontrarlo al Giardin Pubblico dove segue i minimi movimenti sotto i cespugli, sperando nel ritorno di qualche gallina. Potresti sedergli accanto e chiedere della sua gioventù, sicuro che il racconto comincerà dalla Seconda Guerra Mondiale. Ti stupiresti nel sentire il nome di Casimiro Donadoni. Chiedi chi è. E lui ti racconterebbe di quel giorno in cui l'avvocato Donadoni, tornato da Vienna, annunciò all'emporio lo statuto di Porto-Franco tra un volare di cappelli frigi. Bandiere inneggianti all'Austria si perdevano nel cielo senza nuvole. Una giornata stupenda, di quelle che nella memoria sono sempre soleggiate. Lui era lì con gli altri italiani, con il liburno, con l'istriano dell'interno, con l'ebreo, il dalmata, il greco dell'adriatico: triestini esultanti, preludio di una città multiculturale. Ti vedrebbe perplesso, farebbe un passo indietro.
Era il 1719. All'epoca Trieste era un bucaneve spuntato dal bianco della saline. Pochi abitanti, un centro di 5000 persone. Poi l'intervento di Vienna: lo statuto di Porto-Franco. Le saline si disciolsero. Come bambole di sale bagnate dall'acqua, gli aristocratici svanirono: troppo legati a terre poco redditizie. Libertà di esercitare il commercio e l'industria; miglioramento delle strutture portuali; esenzione dalle tasse; banco di assicurazione; divieto di perquisizione delle navi; permesso agli stranieri di possedere case e terreni. L'economia piroettava. Attratti dalle condizioni favorevoli migliaia di persone raggiungevano il golfo per giocare con la sorte, e lui con loro. La città diventava un crogiuolo di popoli. Attraverso le nuove vie imperiali si mischiavano le genti: ognuna con una propria cultura ad arricchire il nuovo porto-giardino della Mitteleuropa. Una città viva che cresceva alimentandosi di confronti, l'ebreo al pari del cristiano, al pari del greco-ortodosso: il rispetto delle reciproche tradizioni, corollario di un modo di essere triestino. 1781 Editto di Tolleranza. Non stavano costruendo solo una grande città, ma uno spirito nuovo, laico e cosmopolita. Alla fine del '700 Trieste contava già 30000 persone.
E se l'uomo tricentenario non raccontasse così la Trieste della sua giovinezza? Se il suo carattere si fosse inasprito col tempo? Forse sarebbe un vecchio scorbutico, stizzoso e stizzito da una Trieste culla e prigione della sua vita. Magari il suo racconto inizierebbe in un altro modo.
Era il 1719. Un nuovo mercato per l'Austria aveva portato il centro a gonfiarsi artificialmente. Le opportunità economiche favorevoli spingevano soprattutto friulani e istriani ad ammassarsi nei nascenti quartieri. La nobiltà spazzata. I nuovi ricchi gonfi di sé, ciechi a qualsiasi altra logica se non quella degli affari. Ebrei come cattolici, ortodossi come protestanti: tutti affaccendati a divorare e ad arraffare. Una borghesia laica: famiglia, denaro, risparmi, moralità e religione in vetrina, sicurezza e ancora denaro. L'onda dei traffci portava a Trieste gente d'ogni dove, la risacca faceva rifluire le culture lasciando sul bagnasciuga cittadino i ceti popolari: la maggioranza italiana, seguita da un'esigue minoranza di burocrati tedeschi, di ebrei, di greci e una forte componente di sloveni. Avevano forse meno etnie le altre città commerciali? La cultura italiana cercava di uniformare le altre attraverso una sistematica deculturalizzazione e omologazione. Non era una città cosmopolita, era una città artificialmente retta grazie ad un progetto viennese, dedita all'economia, non alla tolleranza, ma all'indifferenza verso tutto ciò che non avesse a che fare con i soldi. Una città cresciuta nei valori del cosmopolitismo non avrebbe, due secoli dopo, fatto falò del Balkan. Trieste: non incontro, ma scontro di popoli.
Non lo so, magari non la racconterebbe nemmeno così, con tanto rancore. Forse perché la verità non sta né nella città cosmopolita (mito romantico secondo Elio Apih), né nell'unicità economica della sua cultura.
Non lo so, magari la verità si è imborghesita: odia gli estremi, si nutre dei suoi miti e soggiorna in una mediana fissità, a volte poco attraente.

15/01/10

L'evoluzione della fisica

di Giulio Rosani

Come promesso nello scorso articolo ho letto il libro di Einstein ed Infeld. Devo dire che prima di iniziarlo pensavo sarebbe stato il solito libro sulla fisica, spiegato in modo chiaro, ma forse non molto semplice, visto l'importanza dell'argomento. Fattore inoltre poco invitante alla lettura erano le formule matematiche che vi sarebbero dovute comparire. La fisica è una scienza esatta e come tale ogni risultato di qualsiasi esperimento deve essere approssimato da una funzione matematica. Bene, ora che ho finito la lettura posso rassicurare chiunque voglia leggere questo fantastico volume sulla fisica: la comprensione di ciò che viene spiegato non è affatto impossibile e di formule matematiche non c'è neanche l'ombra. Già nella prefazione gli autori assicurano di non voler far uso della matematica e di avere come unico scopo quello di rendere più chiari alcuni aspetti della fisica ancora oscuri a molti. L'unico requisito che il lettore deve avere, proseguono i due fisici nella prefazione, è quello di possedere buona volontà e di essere disposto a comprendere i ragionamenti fatti nei vari capitoli.



Il libro è suddiviso in quattro parti:


Parte Prima:L'ascesa dell'interpretazione meccanicistica


Il libro si apre paragonando la fisica ad un romanzo giallo perfetto, in cui non si può saltare alle ultime pagine per scoprire chi è l'assassino. La ricerca del fisico si basa su supposizioni e sulla ricerca di prove a favore di queste. Dunque la prima cosa da fare è osservare e interpretare. Grazie a questo processo si giunge al primo indizio, a partire dal quale si costruirà una teoria. Nota bene, l'indizio non sempre porta alla teoria giusta solo perché è stato scoperto.
Dopo questa prima introduzione vengono presentati i vettori, il concetto di moto, la massa, grandezza fisica lasciata in disparte per molto tempo. Grazie a questi concetti si poté enunciare la teoria meccanicistica della realtà, ovvero che il mondo si "muove" perché delle forze agiscono sulla materia, componente unica della realtà. Viene descritto insomma come grazie alla conoscenza di alcuni fattori, come velocità e posizione, si possa prevedere la posizione futura della particella che si sta studiando.


Parte seconda: Decadenza dell'interpretazione meccanicistica


In questa parte viene descritta la teoria dietro all'elettromagnetismo e alla termodinamica. Ancora si cerca di adattare l'idea meccanicistica all'ambito di studio, ma ci si comincia a rendere conto che sorgono alcuni problemi, soprattutto con lo studio della luce. Siccome essa si propaga anche nel vuoto, non si può trattare di un'onda, visto che per propagarsi essa avrebbe bisogno di materia. L'onda non è altro che un cambiamento di stato della materia. Il suono si propaga perché c'è aria che vibra, nel vuoto non c'è suono. Molti esperimenti però dimostrano che la luce deve essere simile ad un'onda, altrimenti alcuni suoi comportamenti non si potrebbero spiegare. (Non entro nei dettagli perché la questione diventerebbe abbastanza intricata.) Si inventa dunque l'etere, ma anche in questo caso la sua definizione risulta macchinosa e non ben definita. La concezione meccanicistica entra così in crisi.


Parte terza: Campo, Relatività


Viene introdotto il concetto di campo, che esercita delle forze sulle particelle.Tutto quello di cui si è già parlato prima viene riletto introducendo il campo (descritto nel mio articolo di dicembre 2009).Si arriva infine alla teoria della relatività. Non vorrei inoltrarmi oltre in quest'ambito se non per due punti importanti. Il primo è che secondo la relatività, due sistemi di riferimento in moto uno rispetto all'altro a velocità prossime a quelle delle luce possono avere "tempi" diversi. Infatti se collochiamo due orologi nei due sistemi, noteremo che il tempo segnato dai due è diverso una volta che i due sistemi sono in movimento, nonostante i due cronometri siano stati precedentemente sincronizzati. Questo aspetto ci riconduce all'articolo precedente in cui Lee Smolin decretava che lo scorrere del tempo è uguale per ogni punto dell'universo, sia esso in moto o no. Non so dire chi abbia ragione, ma la cosa si fa interessante. Il secondo punto è la massa-energia, che lega appunto massa ed energia ad un unica "sostanza". Secondo questa teoria la massa è un condensato altissimo di energia, e l'energia è una minima parte della massa. Sostanzialmente un corpo caldo pesa di più di quando è freddo, ma la variazione di peso è infinitesimale. Lo stesso vale per un corpo in moto rispetto al suo stato di quiete.


Parte quarta: Quanti


Di questo ultima parte vorrei anticipare il minimo possibile. Dico solo che l'idea di conoscere posizione, velocità e traiettoria future grazie a dati conosciuti decade definitivamente. In questo caso o si conosce la posizione o la velocità o la traiettoria, ma mai tutte insieme. Inoltre più che la posizione precisa si conosce la posizione probabile. Stessa cosa per velocità e traiettoria. (Si sta parlando di particelle elementari in moto.)


So di essere stato poco profondo nell'esposizione, ma quello che Einstein e Infeld hanno sintetizzato in 273 pagine, non credo di essere in grado di riprodurre in due. Invito quindi chiunque fosse interessato a leggere il libro e a continuare ad informarsi su questa bellissima materia. Il Titolo è "L'evoluzione della fisica" e merita davvero una lettura.

14/01/10

Che cos'è la globalizzazione?

di Andrea Tamaro

Questo non è propriamente un articolo. Ricopierò quanto scritto nel libro di "Diritto costituzionale", Roberto Bin-Giovanni Pitruzzella, Giappichelli Editore, che cerca di dare una "semplice" spiegazione su cosa sia la globalizzazione (e come funzioni) e il rapporto col territorio e la sovranità dello Stato. In questo modo, una discussione su questo tema, potrà essere condotta con una maggiore chiarezza.



"L'indebolimento del controllo che, nell'attuale momento storico, lo Stato esercita sul proprio territorio è da collegare soprattutto all'affermazione di quella che viene chiamata globalizzazione, cioè la creazione di un mercato mondiale in cui i fattori produttivi si spostano con estrema facilità da un Paese all'altro.
Alla base della globalizzazione dell'economia stanno soprattutto i seguenti fattori:


  • il progresso tecnologico nel campo dei trasporti, che rende sempre più facile ed economico lo spostamento dei beni da un luogo all'altro;
  • la "smaterializzazione" delle ricchezze tradizionali, attraverso la cosidetta "finanziarizzazione" dell'economia, che sempre di più si basa sulla proprietà e lo scambio di risorse finanziarie piuttosto che sul possesso di beni materiali;
  • l'accresciuta importanza strategica ed economica di altri "beni immateriali", come la conoscenza e l'informazione;
  • lo sviluppo dell'informatica e la creazione di reti telematiche, che rendono possibile il rapidissimo spostamento di informazioni e di capitali da una parte all'altra del Pianeta;
  • lo sviluppo di sistemi produttivi flessibili, che consentono alle imprese di spostarsi rapidamente da un luogo all'altro o di allocare le diverse fasi del ciclo produttivo in aree territoriali diverse (si pensi ad alcune imprese leader nel settore dell'abbigliamento, che insediano i centri di disegno dei capi e le strutture che curano il marketing nel cuore dell'Europa, in modo da utilizzare le migliori risorse umane in questi campi, mentre la lavorazione degli indumenti avviene in Paesi extraeuropei dove il costo della manodopera è più basso).
Dalla globalizzazione dell'economia discendono numerose conseguenze. Anzitutto le risorse più importanti, è cioè il capitale finanziario, le informazioni e le conoscenze, che per loro natura non sono legate al territorio (si dice perciò che l'economia si è "deterritorializzata"), si spostano da un luogo all'altro, e perciò anche da uno Stato all'altro, alla ricerca del luogo più conveniente in cui posizionarsi, sfuggendo pressochè integralmente al controllo dei poteri pubblici. In secondo luogo, gli Stati sono sempre più influenzati da decisioni che vengono prese al di fuori dei loro confini, ma che hanno effetti considerevoli all'interno del territorio dello Stato (si pensi alla decisione dei grandi investitori di realizzare vendite massicce dei titoli del debito pubblico di un determinato Stato, mettendone in crisi la liquidità, determinando un rialzo dei tassi di interesse e il conseguente aumento del debito dello Stato; oppure si pensi alle conseguenze, sul livello dei prezzi, e perciò sul tasso di inflazione, delle decisioni prese dai Paesi produttori di petrolio o da grandi gruppi multinazionali - questi esempi sono alla base delle nozioni del corso di economia NdT). In terzo luogo, si realizza una competizione tra Stati per attrarre imprese e capitali e, in questo modo, per aumentare la ricchezza che esiste e si produce nel loro territorio. Infatti, la velocità e la facilità di spostamento dei principali fattori produttivi fa sì che essi tendano ad allocarsi in quelle aree territoriali dove incontrano regole legali, sistemi fiscali, amministrazioni pubbliche e qualità del capitale umano, tali da rendere più conveniente l'attività.
Ciò significa che gli Stati si trovano davanti ad un'alternativa secca: o chiudere le proprie frontiere agli scambi con l'esterno, esponendo il Paese al rischio dell'impoverimento, oppure garantire la piena libertà di movimento dei capitali, beni e servizi, accettando così di conformarsi alla logica del mercato globale ed alla competizione tra aree territoriali. Ma l'adesione alla seconda alternativa comporta una certa riduzione delle scelte politiche consentite allo Stato. Infatti, gli operatori interni ed internazionali fanno confluire i propri capitali nel territorio di uno Stato finchè vi siano sufficienti prospettive di guadagno, e cioè non solo regole convenienti, disponibilità di infrastrutture, amministrazioni efficienti, ma anche una pressione fiscale tollerabile, un bilancio pubblico sano, un uso efficiente delle risorse pubbliche. Lo Stato è formalmente libero di adottare gli indirizzi politici che ritiene più opportuni, ma sostanzialmente è costretto a sottostare al giudizio del mercato e, quindi, a seguirne indirizzi politici compatibili con le esigenze della competizione internazionale.
In conclusione, non è più vero che lo Stato abbia piena sovranità sul suo territorio, tanti essendo i condizionamenti provenienti dai mercati internazionali."

Per definizioni di natura economica di termini riportati, in caso di necessità, le trovo velocemente sul libro di economia.

Questa è la globalizzazione. Giusta? Sbagliata? Io non credo si debba riflettere in questi termini. E' il modo in cui si è evoluta l'economia, e come ho già sostenuto e credo, se è così, è perchè gli uomini hanno così scelto. Si può criticare in certi suoi aspetti, certo. Ma bisogna forse ricordare, e questo è inconfutabile, che proprio la globalizzazzione permette agli Stati poveri di crescere. Nel momento in cui la conoscenza tecnologica si sposta, gli Stati poveri la possono ottenere e sviluppare, in modo tale che le differenze rispetto ai ricchi si assotiglino. Anche questa è una delle tante facce della globalizzazione.

09/01/10

Wikipedia: no comment?

di Andrea Tamaro



Prendendo spunto dal giudizio lapidario riportato nel titolo su "Wikipedia, l'enciclopedia libera", desidero riflettere un po' sul valore o meno di questo sito, visitato quotidianamente da 60 milioni di persone, e dell'idea del progetto in sé.


  • Iniziamo dalle questioni di fondo che permeano le critiche a wiki. : autorevolezza e libertà.

Wikipedia (e i suoi progetti trasversali) permettono a chiunque, dotato di un computer, di aggiungere, togliere o modificare la definizione o le informazioni di qualsiasi (o quasi) voce. Ciò dunque comporta che chiunque, sia esso dotato o meno di nozioni su un dato argomento, possa trasformare, sia in meglio sia in peggio, il lavoro di altre persone.

A questa scelta di libertà si collega l'autorevolezza: le voci, come vengono presentate, senza essere curate da esperti, non hanno nessun valore accademico. Di conseguenza citare una voce in una tesi di laurea, sarebbe quanto mai sbagliato e controproducente.
Queste due, del tutto veritiere, affermzioni conducono alla bocciatura di questo strumento?

Ovviamente no.



  • Abbiamo visti i limiti di wikipedia. (Difetti, tra l'altro, insormontabili?) Ora vediamo i pregi.

Difficile a crederlo, ma il primo pregio è la libertà. Un controsenso? Tutt'altro.
Quella libertà che conduce ad una pericolosa esposizione all' "esterno" permette nel contempo di usufruire di una merce rara: la neutralità.
Su tante voci, e quindi temi, controversi, la discussione e la possibilità che tutti inseriscano i vari punti di vista, portano ad una visione complessiva dell'argomento.
Es. Aborto: definizioni, dibattito etico, storia, legislazione e così via
Tutto ciò porta ad una comprensione non viziata: tesi degli abortisti come quelle delle religioni come la posizione del legislatore.




  • Tenendo presente l'esempio, passiamo ad altra considerazione: il tempo. Una enciclopedia online permette di essere aggiornata quasi istantaneamente rispetto all'evento accaduto.

Viene scoperta una nuova formula chimica per la pillola abortiva? Al massimo poche ore dopo la notizia è riportata sulla voce online.
E se questo sembra di poca importanza rispetto alla voce enciclopedica, bisogna ricordare che wikipedia non è solo una tradizionale enciclopedia: ha funzione di almanacco, di dizionario geografico, artistico, filmografico, di cronaca dei fatti di attualità.




  • Ho citato prima la critica sull'autorevolezza: anche se le voci non sono curate da esperti, ciò non toglie che possano avere un valore culturale od informativo.

Per vari motivi:

  1. Bisogna controllare le Note. Possono riportare le citazioni di libri autorevoli sull'arogomento trattato, oppure articoli di giornale e via così. Tutto ciò rende la voce più accreditata.


  2. Bisogna controllare i Collegamenti esterni. Spesso sono link a siti assai autorevoli. Conseguentemente la voce magari può essere anche "infettata" ma il sito a cui si rimanda certamente no. (se leggo riguardo la Carta Costituzionale e voglio l'opinione autorevole vado al link del Quirinale.it)


  3. Si può anche vedere come si è evoluta la voce: le voci vengono discusse, e tutti i passaggi di trasformazione salvati, in modo tale che in caso di malafede (o ignoranza) di qualcuno, si possa tornare indietro.


  4. Bisogna ricordare infine la cosa più importante: date voci sono trattate da veri esperti. Si vedono subito dall'ampiezza e dovizia di particolari in cui sono declinate. Provare per credere: "Esperanto".

E wikipedia può diventare perfino fonte per una tesina magari, basta utilizzarla correttamente: come? Incrociando le informazioni. Prendi varie fonti su un dato argomento o parola, e le confronti. Se vedi molte coincidenze sulla voce di wiki, vuol dire che è fatta bene.
Una questione forse non viene rilevata opportunamente quando si tratta del valore o meno di wiki. : la maggior parte delle persone non è abbastanza ricca per poter comprarsi un'enciclopedia. Quelle serie, ovvero dotate di una provata autorevolezza, costano. Questa considerazione materialistica per dire cosa? La maggioranza delle persone, non hanno la possibilità (lasciando stare la volontà) di poter sfruttare questo strumento culturale: wikipedia è una sincera via di mezzo.
Bisogna comunque ricordare sempre: usare con cautela.
Ma i pregi non sono finiti.
L'altra sera ho avuto la fortuna di andare ad uno spettacolo teatrale molto bello, che mi ha colpito, oltre per la bravura dei recitanti e l'importanza del tema trattato, per la musica. Soprattutto "Lascia ch'io piango". Appena l'ho sentita, mi son detto: devo scoprire da dove proviene. Sulla "normale" enciclopedia ovviamente non ho trovato nulla di così generico. Su wiki. invece, tempo due secondi, ho scoperto che è un'aria dall'opera Rinaldo di Georg Friedrich Handel. Che importanza ha?
Ha tutta l'importanza del mondo, secondo me. Cos'è che fa progredire culturalmente, ad un certo punto, l'uomo se non la sua curiosità? Wikipedia permette di dar anche sfogo alle curiosità e nello stesso tempo può far nascere nuovi interessi.
C'è infine una questione che forse si dimentica: il collegamento con le le lingue straniere. Questo comporta vari benefici: una maggiore esposizione di argomenti (soprattutto in inglese) che magari non sono abbastanza ben trattati nel dettaglio nella propria lingua; ci si esercita con la lettura e si ha la possibilità di trovare la traduzione di parole che su un dizionario italiano-inglese "normale" non è possibile trovare in modo rapido e preciso. Es. il nome di qualche uccello assai poco conosciuto: scrivo il nome italiano, ho il link a quello inglese.

Wikipedia, fonte di cultura popolare e di cultura della curiosità; utopica rappresentazione di come il mondo dovrebbe essere: un mondo dove le lingue, come i popoli, non siano in conflitto, ma legate dallo stesso scopo, il dialogo.