BLOGGER TEMPLATES AND TWITTER BACKGROUNDS

26/12/09

Rivoluzionarie scoperte o semplici corollari?

di Giulio Rosani

Qualcuno forse si sarà accorto che nell'ultimo periodo le notizie scientifiche, per poche che siano, stanno diventando alquanto insolite. Leggo nel numero di novembre di "Le Scienze" che è stato trovato un esempio di monopolo magnetico, fenomeno finora ritenuto impossibile. Sempre nello stesso numero si annuncia la violazione della legge di simmetria,una delle superleggi della fisica ritenute inviolabili.
Tutto questo è stato preceduto dalla conferenza tenutasi il 28 ottobre a Genova da Lee Smolin, nella quale l'esistenza di più universi, da lui stesso teorizzata, veniva smentita in favore di quella affermante un unico universo. Alla luce dei seguenti cambiamenti possiamo forse dire di trovarci di fronte ad una nuova rivoluzione copernicana? Intanto vediamo di analizzare al meglio cosa significano le varie scoperte sopra citate.

Il monopolo magnetico

Vi siete mai chiesti cosa succede se si "taglia" una calamita in due? La risposta che finora la fisica dava a questa domanda era che si sarebbero ottenute due calamite più piccole aventi entrambe due poli, nord e sud, come la calamita originale. Svariati esperimenti provavano questa teoria, svariati esperimenti con materiali e temperatura "normale". Nessuno aveva ancora pensato agli "spin ice", ghiacci di spin. Si sta parlando di materiale con struttura simile al ghiaccio, i cui ioni ruotano con un determinato orientamento. Gli ioni sono le particelle possedenti carica elettrica positiva o negativa che costituiscono il materiale. Sono atomi a cui è stato strappato un elettrone, caso di carica positiva, oppure che hanno strappato loro un elettrone ad altri atomi, caso negativo. Gli ioni si organizzano in strutture cristalline, reticoli di forma quadrata ad esempio.
Dopo aver stabilizzato il campo magnetico del materiale, i fisici lo hanno perturbato nuovamente in modo da creare la possibilità di formazione di monopoli magnetici e... tadah! Una situazione simile a quella del monopolo è stata riscontrata veramente! Sembrerebbe una cosa molto semplice, ma in realtà il processo non è così scontato. Intanto il materiale deve essere portato a temperature prossime allo zero assoluto, -273°C, poi il campo magnetico deve essere perturbato tranite un'altro campo magnetico, abbastanza forte da modificare il primo nel modo desiderato.
Con campo si intende la perturbazione dello spazio dovuta ad un oggetto situato in esso. Ad esempio il campo gravitazionale è dovuto alla presenza nello spazio di un corpo avente massa non nulla. Per avere un'immagine di un campo, ci si può immaginare un lenzuolo teso con un pallone da calcio messo su di esso. Il telo cederà dove si trova il pallone e formerà una depressione che influenzerà altri oggetti sul lenzuolo. Ad esempio se metto una biglia nel campo appena generato questa si muoverà verso il pallone da calcio, perchè soggetta alle forze generate dal campo, la depressione del lenzuolo in breve. La biglia però crea a sua volta un campo sul lenzuolo, solo che è molto più debole rispetto a quello del pallone, dunque non ce ne accorgiamo. Se mettessimo un'altro pallone sul lenzuolo potremmo perturbare significativamente il campo generato dal primo pallone. Il concetto di base dell'esperimento è appunto questo, generare un campo abbastanza forte da modificare il primo in modo significativo.
Oltre a dover trovare il modo giusto di modificare il campo, il controllo della riuscita dell'esperimento è alquanto difficoltoso, perchè la distanza tra i due poli è dell'ordine dei milionesimi di metro. Comunque, nonostante questi risultati i ricercatori restano in dubbio se si tratti di veri monopoli magnetici, in quanto non si tratta di particelle con un unica carica magnetica, il vero monopolo, ma di due poli separati. Il fenomeno non era stato mai riscontrato e ciò ne fa una scoperta interessante. Aspetto aggiornamenti sull'argomento.

La legge di simmetria

Per legge di simmetria si intende, in fisica, la legge secondo la quale un esperimento eseguito secondo le stesse condizioni rispetto ad un altro esperimento deve dare lo stesso risultato indipendentemente dal luogo e dal tempo in cui viene eseguito. In pratica, se faccio cadere un sasso da una rupe alta 100 metri, in assenza di vento, il tempo che impiegherà il sasso per arrivare a terra e il luogo di impatto saranno gli stessi. Che io lasci cadere il sasso in Giappone o in America, nel 2012 o nel 3005, non influenzerà minimamente il mio risultato. Alcuni fisici sono però scettici e non si dicono d'accordo con questa affermazione. Questa loro idea viene supportata da un esperimento condotto in Giappone il cui risultato non è conforme alle previsioni basate appunto sulla simmetria.
Il termine simmetria in fisica è da intendersi più come invarianza, che come simmetria letterale. Dunque nonostante i dati di partenza fossero invariati rispetto ad un esperimento già condotto, il risultato è stato diverso. Con questa "scoperta" il mondo della fisica si trova davanti a nuovi quesiti sulle superleggi, ritenute inviolabili. La teoria che ipotizza una unificazione delle leggi fisiche in un'unica legge universale potrebbe essere da rivedere. Se effettivamente dovesse rivelarsi falsa, molte teorie dovrebbero essere reinterpretate, molto lavoro risulterebbe inutile. Si aprirebbero però nuove porte verso una comprensione più profonda della realtà.

Il Multiverso

Come accennato sopra a Genova si è tenuta una conferenza di notevole importanza. Lee Smolin, fisico teorico americano nato a New York il 1955, uno dei "padri" della fisica quantistica moderna, smentisce l'esistenza di mondi paralleli, di un multiverso, da lui stesso teorizzata. Le motivazioni addotte non sono di tipo scientifico, ma sono puramente filosofiche. Ciononostante è importante considerare la questione come una svolta.
I quattro punti esposti durante la conferenza sono i seguenti:
"Esiste un solo universo. Non ne esistono altri, nè esiste qualcosa che sia isomorfo ad esso."
Questa affermazione si rifà soprattutto alla teoria degli insiemi. Infatti non esiste altro insieme che possa riprodurre perfettamente l'insieme di partenza se non l'insieme stesso. Dunque l'universo può essere "replicato" solo da se stesso=> esiste un solo universo.
"Tutto ciò che è reale lo è in un momento, che è (a sua volta) una successione di momenti. Tutto ciò che è vero lo è nel momento presente."
La teoria di un qualcosa che esiste anche al di fuori del tempo viene smentita, tutto ciò che esiste è situato nel tempo, anche il tempo stesso(in quanto realmente esistente e non un prodotto della mente umana).
"Tutto ciò che è vero in un momento è un processo di cambiamento finalizzato a portare al prossimo o ai futuri momenti. Qualsiasi cosa sia vera è una aspetto di un processo in questo processo causante o implicante momenti futuri."
Se qualcosa dovesse esistere senza causare nient'altro, allora quel qualcosa deve sparire nel prossimo attimo. Se qualcosa persiste, allora deve portare a qualcos'altro, fa parte di un processo.
"La matematica è un derivato dell'esperienza che funge da generalizzazione di regolarità osservate, quando vengono rimossi particolarità e tempo."
La matematica non è una legge su cui si basa il mondo, ma è derivata da esperienze sulle cui regolarità si basa la materia. Questa frase del prof. Smolin potrebbe sebrare logica e naturale, nonostante ciò molti matematici tendono a dimenticarlo (perdonatemi la "frecciatina").
Purtroppo siccome non ne so abbastanza sull'argomento non cercherò di inoltrarmi oltre nella faccenda.
Per chi fosse interessato all'argomento, Smolin ha pubblicato tre libri, a quanto mi risulta, in cui questioni quali la teoria delle stringhe e la quantum gravity sono spiegate in modo chiaro a tutti. I titoli sono "The Life of the Cosmos", "Three Roads to Quantum Gravity" e "The Trouble with Physics".

Il pennuto terrorista

Su Repubblica del 8 Novembre si poteva leggere un articolo sul Cern di Ginevra, nel quale si comunicava la ripresa delle attività dopo la riparazione del generatore Lhc-B, uno dei tre che alimentano la struttura. Causa del guasto è stato il pasto di un volatile, un pezzo di pane. Le tracce trovate sul luogo ne danno la prova, anche se si è riusciti a trovare solo il pane. Sulle sorti del pennuto si è tuttora incerti...
Quella che può sembrare una notizia da niente in realtà potrebbe confermare una teoria recentemente sviluppata a spiegazione dei vari "fiaschi" dell'Lhc(Large Hadron Collider). Si pensa che la natura stia sabotando l'esperimento per non permetterci di scoprire la particella detta "di Dio". Anche in questo caso sembra fantascienza, ma chi se non meglio di un anonimo passero o un piccione mimetizzato nel grigio della svizzera poteva portare a termine un attentato del genere? Ovviamente sto scherzando, non credo proprio che la natura possa ordire un complotto simile, ahah... o forse sì?
Per il momento sul Cern è tutto, se dovessi avere fortuna, intorno a marzo o aprile dovrei riuscire a visitare di persona la struttura, in quel caso seguirà ovviamente subito un articolo su Pot-pourri.

Bene, tutto questo articolo per dire che ancora non si sa dove andrà a finire la questione... Ho comunque trovato interessanti le varie scoperte e mi sembrava bello comunicarle. Spero sia stato interessante anche per chi ha letto questo articolo.
Il prossimo articolo tratterà di un libro scritto da Einstein e Infeld, nel quale si cerca di porre la fisica in concetti semplici e compresibili a tutti.


“Il Dio Toth”, intervista a Massimo Fini


di Stefano Tieri



«I personaggi di questa storia sono inventati. I messaggi dei media sono autentici.»
Così Massimo Fini nella seconda di copertina del suo primo romanzo, “Il Dio Toth”, edito da Marsilio (pp. 192, 15 €). È lo sconcerto ad assalire il lettore, fin dalle prime pagine; la domanda che si pone invece, proseguendo via via nella lettura, è la seguente: nel momento in cui pretendiamo di informarci tramite terzi, non essendo direttamente a contatto con il fatto, quali possono essere le conseguenze? Se è vero, come scriveva Bonaventura Zumbini, che «la verità è un po' dappertutto, ma dappertutto esagerata ed offuscata», come orientarsi? Proprio la vicinanza di Massimo Fini al mondo dell’informazione rende questa testimonianza – seppur traslata nel contesto romanzesco – così importante per chi voglia dare una risposta a questi interrogativi.

Nel suo romanzo il personaggio della Grande Mousse sostiene che il giornalista ha non solo il compito di informare, ma anche quello di formare. Lei dà a quest’ultimo termine un’accezione negativa, forse anche perché la Grande Mousse oltre ad avere il potere dell’informazione detiene il potere politico…
Sì, formare il cittadino è tipico di ogni Stato autoritario, sostanzialmente; il famoso Stato etico, dove lo Stato si occupa anche delle cose private del cittadino, della moralità del cittadino,… E quindi in questo senso informare nella bocca del capo del giornale, che poi è anche il capo del paese, ha ovviamente un’accezione negativa.

Sì ma il giornalista nella scelta delle notizie, nei commenti che accompagna alle stesse notizie, filtra tutto attraverso il proprio pensiero, dando quindi anche una visione del mondo che è la propria.
Fino ad un certo punto, perché per quanto possa sempre essere tutto molto opinabile (un bellissimo film giapponese, “Rashōmon”, fa vedere come lo stesso fatto visto da 5 persone diverse abbia 5 interpretazioni diverse) in relativo i fatti restano i fatti: quindi se tu vedi uno che sta pugnalando un altro questo devi scrivere. Nella cronaca il margine di interpretazione è relativo.

Dico questo perché leggendo diverse testate di opposti orientamenti politici sembra di essere dinanzi a delle italie completamente diverse l’una dall’altra…
Sì, anche perché qui si parla di politica: siccome la politica è fatta di parole e non di fatti, è chiaro che si possono dire le cose più diverse, contrastanti nel modo più totale, e nessuno ha torto e nessuno ha ragione. È uno dei “vizî” della democrazia, che è fatta sostanzialmente di parole.

Un altro tema cardine del suo libro è la teoria secondo la quale la troppa informazione è in realtà solamente illusione di essere informati…
La troppa informazione uccide l’informazione. Questo vale non solo per l’informazione, ma per tutto. È quello che ti insegnano al primo anno di economia: un cucchiaio di minestra ti salva dalla morte per fame, due ti fanno stare un po’ meglio, tre ti fanno star bene, il centesimo ti uccide. L’eccesso di informazione finisce per passarti attraverso e alla fine tu non ritieni nulla, un po’ come in quel mondo che io descrivo, che non è troppo lontano da quello di oggi.

E proprio a questo volevo arrivare: attraverso la televisione prima e internet poi sembra si stia giungendo a questa situazione: un mondo nel quale si è sommersi da messaggi e da informazioni senza che in realtà rimanga nulla all’interno della persona.
Rimane molto poco. Ci fu un’interessante inchiesta fatta negli Stati Uniti tanti anni fa in cui venivano messi a paragone ragazzi che avevano vissuto nell’era pre-televisiva e ragazzi che invece vivevano nell’era televisiva. Non solo la qualità ma anche la quantità di informazioni ritenute dai secondi era inferiore a quella nei primi; una cosa che ti dice tuo nonno ti rimane in testa tutta la vita, centomila informazioni – anche per una questione di difesa – ti passano attraverso, perché se dovessi ritenerle tutte non vivresti più.

Sempre nel romanzo lei tratteggia due figure che possono essere in qualche modo positive: quella degli uninformed (individui che vivono ai margini del mondo “civilizzato” a cui non arriva alcun tipo di informazione, ndr) e quella di Matteo, il protagonista (un giornalista che ben presto si accorge di trovarsi in un sistema malato, ndr). Lei le ritiene soluzioni valide? L’isolamento dalle informazioni è possibile in questo mondo ed è una soluzione accettabile, che può portare a qualcosa di positivo?
È possibile a prezzo dell’isolamento, perché in questo modo si diventa in qualche modo un disadattato; come lo è Matteo, che pur sostiene col suo lavoro quel sistema che poi ad un certo punto capisce essere tutta fuffa. È un po’ il problema, trasportando alle piccole cose, che ogni genitore si pone con i figli: faccio vedere loro la televisione così li cretinizzo o non gliela faccio vedere ma ne faccio degli spostati nell’ambiente in cui devono vivere?

Bel dilemma… Lei non mi pare abbia scelto comunque la strada della disinformazione più totale: è direttore politico di un mensile da oltre un anno (“La Voce del Ribelle”), collabora a “il Fatto quotidiano”,…
La mia scelta è in un certo senso contraddittoria… io nell’informazione ci lavoro, anche se si tratta di un’informazione più laterale, più marginale. Il problema è: o sto muto oppure parlo anche per dire questo. Pure su “la Voce del Ribelle” l’ho detto: noi utilizziamo – cercheremo di utilizzare – internet e questi mezzi ma l’obbiettivo è poi abbattere internet.

Lei in qualche momento mi pare un po’ sospeso tra il pessimismo dell’intelligenza e l’ottimismo della volontà, che a volte sono in contrasto l’uno con l’altro…
Sono totalmente in contrasto tra loro; io ho una visione pessimistica del futuro, questa però non può essere l’atteggiamento di un giovane (i ragazzi che mi seguono hanno più o meno la tua età, 20, 25, 30 anni). Quindi anche la “Voce del Ribelle” e il movimento che ho creato (Movimento Zero, ndr) vogliono tentare di dare uno sbocco positivo, anche contando sul fatto che i giovani – per quello che riguarda il mio pensiero – non lo ripetono in modo talmudico ma lo rielaborano a modo loro e secondo le esigenze, perché comunque un ragazzo di vent’anni non può pensarla come un uomo di sessanta. Scrive Nietzsche: «non fa onore al suo maestro chi rimane sempre di secolo».

Lei ha sempre mantenuto un atteggiamento di denuncia verso la società che le magnifiche sorti e progressive hanno portato. Se lei dovesse dare un consiglio a un ragazzo di vent’anni, dal momento che le prospettive non sembrano delle più rosee, gli consiglierebbe di lottare avanti come ha fatto anche lei stesso?
Sì, io direi – se ci si crede – di fondere idee di questo genere, idee che sono anti-moderniste ma non per questo non attuali: la modernità quando è nata ha creato delle grandi speranze, ma ora ha fallito. Io non colpevolizzo gli illuministi, Adam Smith o Marx, ma a due secoli e mezzo di distanza questo modello in realtà fa star più male che bene, anzi riesce a far star male anche chi sta bene: tant’è vero che fenomeni come depressione e nevrosi sono diffusi più fra i ceti abbienti che in quelli meno abbienti e sicuramente nel mondo occidentale più che nelle società tradizionali…

…e come ha scritto ne “La ragione aveva torto”, più nelle società moderne che in quelle pre-industriali.
Esatto. Ora non si tratta di ritornare al mondo delle caverne, ma di prendere dalle società che ci hanno preceduto alcuni insegnamenti di cui ci siamo completamente dimenticati. La civiltà greca aveva un profondo senso del limite che noi abbiamo perduto; i greci avevano una teoria della meccanica (attraverso Pitagora e Filolao) tramite la quale avrebbero potuto costruire macchine molto simili alle nostre, non lo fecero perché intuirono che andare a replicare la Natura era pericoloso. Molta parte dei loro miti dice questo: che il delirio di potenza dell’uomo – l’hybris – provoca la fthonos theòn, ovvero l’invidia degli dei e l’inevitabile punizione. Naturalmente qui siamo a livello mitico ma il senso è chiaro: l’uomo dev’essere in grado di auto-limitarsi sennò va incontro all’autodistruzione. Il frontespizio dell’oracolo di Delfi era “mai niente di troppo”. Dovremmo quindi riprendere alcune suggestioni del passato per correggere in modo molto radicale la società del presente, per riportare al centro della vita l’uomo e non l’economia o la tecnologia, le quali hanno avuto sempre una parte marginale nella vita dell’umano fino alla fine della rivoluzione industriale.

Lei ha fiducia nell’uomo?
Da una parte non ho fiducia nell’uomo, dall’altra lo vedo come un essere estremamente dolente, perché è l’unica creatura vivente consapevole in modo lucido della propria inevitabile fine. Per cui ci sono due elementi: l’uomo è sì condannato dalla sua stessa struttura (prendiamo appunto la conoscenza: l’uomo è portato a conoscere ma poi la conoscenza finisce per ritorcersi contro di lui; basti pensare a tutte le invenzioni che abbiamo creato, straordinarie sotto certi aspetti, che ci sono venute contro, alla fine); ma d’altro canto questa è la condizione dolorosa di un essere com’è l’essere umano. Chi lo ha inventato dovrebbe essere impiccato.

(intervista rilasciata venerdì 20 novembre 2009)

17/12/09

La discriminazione silenziosa


di Tommaso Ramella



Il 17 novembre 2009 Andrea Tamaro pubblica su Pot-pourri l'articolo La vergogna dell'Italia, nel quale critica aspramente la bocciatura di una proposta di legge che avrebbe dovuto introdurre sanzioni aggiuntive per i reati connessi all'omofobia. E' un articolo dai toni estremamente accesi, da cui traspare tutta l'indignazione dell'autore di fronte a quella che egli vede come l'ennesima prova d'indifferenza da parte della società riguardo il problema della discriminazione degli omosessuali. 
Molti sono gli spunti di riflessione offerti da Andrea, fra i quali l'arretratezza dell'Italia dal punto di vista giuridico, i rapporti fra Stato e Chiesa e la necessità di garantire gli stessi diritti a tutti i cittadini; riguardo ciascuno di questi temi Andrea esprime la sua opinione, un'opinione che, in quanto tale, può essere messa in dubbio da chiunque si trovi in disaccordo con essa o non ne condivida alcuni aspetti. Ma l'articolo non riceve alcuna risposta. In un commento all'articolo di Lorenzo Natural del 2 dicembre 2009, Trattato di Lisbona: storia di un'oligarchia che ha distrutto l'Europa, Andrea scrive a proposito della sua pubblicazione: ...ho trattato di una tematica sociale rilevante e attuale (ma che può "cozzare" con presunti convincimenti religiosi e morali). Nessun commento, il silenzio domina. Queste parole tuonano dentro di me come una grave accusa rivolta a tutti coloro che hanno lasciato cadere nel vuoto parole riguardanti una tematica sociale rilevante e attuale: com'è possibile che in un blog che si propone di instaurare un dialogo tra i giovani riguardo temi di ambito culturale, all'articolo di Andrea non abbia fatto seguito alcun commento? 
Nel tentativo di trovare una risposta a questa domanda, comincio col chiedermi perché io stesso, dopo aver letto l'articolo, non abbia espresso la mia opinione. Al momento della lettura, l'articolo di Andrea ha suscitato in me sentimenti contrastanti: razionalmente concordavo con quanto vi era scritto, ma allo stesso tempo provavo un certo fastidio verso parole che non sentivo mie, come se una forma inadeguata avesse guastato un buon contenuto. Questa sensazione di disagio, dovuta allo scontro tra ragione e pulsioni istintive, mi ha portato a non commentare l'articolo di Andrea: mentre una parte di me avrebbe voluto esprimere la sua disapprovazione, l'altra provava vergogna nel criticare una persona che si era impegnata nella difesa dei diritti degli omosessuali. 
Ho provato la stessa sensazione di disagio quando una persona che sapevo essere omosessuale mi ha abbracciato: alla repulsione per quello che istintivamente ho interpretato come un indizio d'interesse sessuale nei miei confronti, ha fatto seguito la vergogna per aver rifiutato un gesto d'affetto da parte di una persona che stimavo e stimo tuttora. Questo impulso che mi spinge, che ci spinge lontano dalle parole, dalle braccia di persone omosessuali non è altro che la manifestazione della radicale omofobia tuttora insita nella società. Sono in molti (sebbene non abbastanza) ad affermare di non avere alcun pregiudizio legato al diverso orientamento sessuale, ma pochissimi, messi a contatto con una persona omosessuale, riescono a liberarsi dalla fitta maglia di luoghi comuni che la società ha intessuto attorno alla sua figura. 
Un esempio di come la tolleranza a parole possa dimostrarsi semplice ipocrisia è il seguente argomento, mosso di frequente da persone benpensanti: gli omosessuali hanno tutto il diritto di avere un diverso orientamento sessuale, ma perché esibirlo in modo così volgare, pacchiano, di cattivo gusto? In primo luogo, è lecito chiedersi se la manifestazione della propria eterosessualità non sia spesso ben più plateale del comportamento degli omosessuali. Quando un ragazzo e una ragazza si scambiano un bacio per strada, viene forse censurato come impudico il loro gesto? Al contrario, due ragazzi non possono neppure tenersi per mano senza che ciò susciti l'imbarazzo, o più spesso l'indignazione degli astanti. Inoltre, quelli che vengono visti come chiari segni di omosessualità, molto spesso non indicano altro che i pregiudizi di chi li osserva. Una persona eterosessuale che si vesta in modo elegante e mantenga un tono di voce pacato corre il rischio di essere vista come omosessuale, così come un omosessuale che indossi una felpa ed abbia una voce profonda viene facilmente scambiato per un eterosessuale. 
E' chiaro dunque che non di rado i termini dispregiativi con cui ci si riferisce alle manifestazioni di omosessualità dipendono dalla soggettiva interpretazione di persone eterosessuali; tuttavia non è la critica dei costumi la minaccia più grave per la comunità omosessuale, bensì il silenzio, la negazione della sua stessa esistenza. In una società che è fondamentalmente omofoba si teme anche solo di discutere dell'omosessualità, è molto più semplice voltarsi da un'altra parte e considerare aberrazioni della natura i pochi casi che si è costretti a vedere. Siamo talmente incapaci di sospendere il nostro giudizio di eterosessuali da ritenere un'offesa rinfacciare a un omosessuale la sua omosessualità, senza capire che è la negazione dell'identità sessuale, non la sua affermazione ad affliggere una persona. 
Non basta la ragione per liberarsi da pregiudizi tanto radicati nella società, è necessario aprire gli occhi e guardarsi attorno, conoscere persone omosessuali, vivere assieme a loro e parlare dell'omosessualità fintanto che essa non risulti talmente naturale da non necessitare di alcuna spiegazione: solo allora potrà calare un consapevole e rispettoso silenzio.

02/12/09

Trattato di Lisbona: storia di un'oligarchia che ha distrutto l'Europa

di Lorenzo Natural


La storia moderna e contemporanea ha instillato come valore principale nelle democrazie dei nostri Paesi la sovranità popolare: la nostra stessa Costituzione, nel primo dei dodici Principii Fondamentali, afferma come la sovranità appartenga al popolo [1]. Tuttavia, nonostante sia stato più volte rimarcato l'alto valore democratico degli Stati che costituiscono il nucleo storico dell'Europa, sembra proprio che il destino del Vecchio Continente viri sempre più verso un futuro in cui i cittadini perderanno - ma lo stanno già perdendo! - il diritto di venire rappresentati da una forma di governo e da politici da loro eletti. Lo strumento che sta orientando l'Europa verso questa nuova era è il famigerato, ma nei contenuti oscuro ai più, Trattato di Lisbona[2]. Ma in cosa consiste esattamente questo trattato? Perché un documento che potrebbe rappresentare un cambiamento cruciale della storia del continente europeo viene continuamente trascurato e obnubilato dai mass-media, dai politici, dai salotti televisivi e dagli esperti in materia?
Innanzitutto, la prima considerazione da fare riguarda la mera etimologia del nome: il Trattato di Lisbona - firmato il 13 dicembre 2007 nella capitale portoghese - non è altro che la "correzione" redatta sotto altro nome della Costituzione Europea, la quale è stata bocciata dal 'no' dei referendum tenutesi in Francia e Paesi Bassi del 2005 [3]. L'unica sostanziale differenza, che potrebbe apparire banale, sta appunto nel nome di questo accordo: per far sì che una Costituzione possa entrare in vigore, infatti, è assolutamente necessario che sia indetto un referendum; è quindi il popolo sovrano a decidere circa la sua ratifica. Il paradosso sembra evidente: con questa subdola macchinazione, "usando una diversa terminologia senza cambiare la sostanza legale" - come Angela Merkel, cancelliere tedesco, ha invitato a operare per uscire dall'impasse creatosi con il 'no' dei due referendum -, l'Unione Europea, di fatto, imporrà ai suoi cittadini una costituzione mascherata da trattato, senza che essi possano esprimersi a riguardo. In Irlanda, unico Paese in cui il Trattato è stato sottoposto a referendum grazie a una particolare legge costituzionale nazionale, esso è stato dapprima bocciato, per poi esser stato riproposto il 2 ottobre scorso, con esito inverso: nel mezzo delle due votazioni, la Repubblica d'Irlanda ha vissuto un periodo di crisi fortissima, con l'aumento del 18% di disoccupazione in un anno e con il Paese sull'orlo della bancarotta, evitata, guarda caso, dall'intervento della Banca Centrale Europea che ha stanziato 120 miliardi di Euro per risollevarne l'economia poche settimane prima della seconda votazione [4]. Pura coincidenza che i cittadini irlandesi, impauriti dall'avvento di una seconda crisi, abbiano deciso di adeguarsi alla volontà degli altri governi europei??

Dal punto di vista strutturale, inoltre, il Trattato di Lisbona risulta essere quantomeno di difficile interpretazione, se non addirittura illeggibile per la maggior parte della popolazione: 329 pagine di emendamenti e rimandi ad altri testi come la Carta dei Diritti Fondamentali, il Trattato sull'Unione Europea (TUE), il Trattato che istituisce la Comunità Europea (TCE) e il Trattato Euratom -sembrano in effetti voler confermare la volontà di rendere poco comprensibile il Trattato (sommando tutti i vari documenti a cui esso rimanda si arriva a circa tremila pagine di testo!), tesi sostenuta pure dal presidente della Convenzione Europea, Valery Giscard d'Estaing [5]. Insomma, lo scopo dei promotori del progetto sembra proprio quello di voler tenere all'oscuro i cittadini riguardo le tematiche e i contenuti di questo documento.
Provate a fare uno sforzo mnemonico: cercate di pensare a quante volte avete letto, sentito, visto dibattiti o interventi su questo argomento. Il silenzio dei media e dei politici su questo tema non solo è assordante, ma agghiacciante.
Nigel Farage, attuale co-presidente del gruppo Europa della Libertà e della Democrazia, durante la seduta del Parlamento Europeo del 7 giugno 2007 [6], ha accusato i governi europei di "assemblare il Trattato in segreto" e di "non voler coinvolgere i cittadini europei, avendo paura che più scopriranno i loro grandiosi piani più probabile sarà che votino 'no' ". Ma di che "piani" sta parlando Farage?
Naturalmente tutta questa segretezza, tutto questo meccanismo attuato per lasciare da parte il popolo, non possono che essere interpretati come segnali nefasti per il futuro dell'Europa. Tra emendamenti modificati, rimandi ad altri trattati e proposizioni articolate, non possiamo restare indifferenti di fronte ad articoli che costituiscono una seria minaccia alle basi democratiche tanto care all'Unione Europea: minacce di stravolgimenti sul piano governativo, legislativo, sociale e della giustizia.

Il Trattato di Lisbona avrà un potere che sarà superiore alle costituzioni dei singoli Stati membri dell'UE; le leggi europee avranno maggior validità rispetto a quelle italiane, francesi o danesi: dovremo abituarci a essere considerati cittadini europei prima che cittadini del nostro Paese. Sebbene ciò possa rappresentare un punto d'incontro accettabile per gettare le basi per un blocco europeo forte e non più succube della politica russa e di quella a stelle e strisce, è del tutto inaccettabile che a decidere su tutti gli ambiti che riguardano la vita politica, economica e sociale dei Paesi europei sia una commissione formata da membri non eletti dai cittadini europei. Infatti, la Commissione Europea, che si occuperà della parte legislativa dell'Unione, sarà formata da circa tremila - e sottolineo tremila - sottocommissioni di politici e burocrati non eletti dai cittadini. Come se non bastasse, l'unico palazzo in cui siedono politici da noi eletti, ovvero il Parlamento Europeo, vedrà assottigliarsi il raggio d'azione in cui verrà chiamato a esprimersi. Oltre a perdere il potere di veto in ben sessantotto campi, in ogni caso - ad eccezione di ambiti collaterali - dovrà esprimere la maggioranza assoluta per impedire che una legge promulgata dalla Commissione Europea venga bocciata: permettetemi di pensare che poter mettere d'accordo 736 eurodeputati sia quantomeno improbabile, se non addirittura utopico. Insomma, l'unica istituzione europea con membri eletti dai cittadini, invece che veder aumentare il proprio potere, cadrà inevitabilmente nell'oblio, per occupare un ritaglio di spazio sempre più minuto, assumendo poteri paragonabili per importanza a quelli che attualmente esercita il nostro Presidente della Repubblica. Alla faccia della democrazia europea.
D'altro canto, una figura che fino a pochissimo tempo fa aveva una funzione quasi prettamente simbolica come quella del Presidente Europeo, con il Trattato di Lisbona, invece, assumerà un ruolo di spicco. E stranamente nemmeno questa figura verrà eletta dal popolo europei (non mi pare che i cittadini siano stati chiamati in causa per l'elezione di Herman van Rompuy, che sarà il primo a ricoprire questa carica). I poteri del Presidente saranno tutt'altro che marginali: oltre a stringere accordi internazionali con altri Paesi, avrà anche la possibilità di dichiarare guerra a uno Stato come "Europa" senza il permesso dell'ONU (niente di diverso rispetto alla politica statunitense, peraltro). In questo caso, un Paese membro non potrà dichiararsi neutrale, ma potrà solamente astenersi "costruttivamente". Tale "possibilità" è stata introdotta con il nuovo articolo 23 del Trattato sull'Unione Europea (TUE) [7], il quale prevede che se l'astensione è accompagnata da una dichiarazione formale, lo Stato membro in questione non è tenuto ad applicare la decisione pur accettando che questa impegni l'Unione. Pertanto, tale Stato membro è tenuto ad evitare ogni comportamento che possa ostacolare l'azione dell'UE basata su tale decisione. A conti fatti, Paesi neutrali in questo campo come Austria e Finlandia non potranno più esercitare il loro status: un passo molto incoraggiante verso un'Europa improntata al mantenimento della pace.

Se dal punto di vista governativo la situazione non appare delle più rosee, per usare un eufemismo, per quanto concerne il sociale, il Trattato di Lisbona appare poco propenso a prendere le difese dei lavoratori, prediligendo articoli che tutelino le grandi multinazionali che operano sul territorio europeo e non. Guarda caso, secondo alcuni sondaggi usciti in concomitanza con i referendum del 2005 per l'approvazione della Costituzione Europea, la poca attenzione dedicata alla tutela dei lavoratori e i tagli nel campo del sociale sono due dei punti per cui Olandesi e Francesi hanno bocciato il referendum.
Un esempio lampante è testimoniato dal fatto che il Trattato di Lisbona dà priorità all'aumento della produzione agricola europea - già notevolmente finanziata - tralasciando le condizioni lavorative dei braccianti e non occupandosi dei pericoli dell'impatto ambientale dell'espansione di quel settore, fra i più inquinanti del mondo [8].
Oltre a ciò, il Protocollo 6 del Trattato [9], introduce la "libera concorrenza senza distorsioni", che applicata al commercio europeo significa nessuna tutela di Stato nei Paesi svantaggiati a favore delle ricche economie dei Paesi più forti: se l'Italia volesse stanziare dei fondi a favore di una regione più arretrata, ad esempio, avrebbe problemi a farlo se ciò dovesse influire sulla "libera concorrenza".

Nonostante i problemi già presentati siano sufficienti ad allarmarci, l'argomento che più dovrebbe preoccupare le coscienze dei liberi cittadini riguarda la possibilità che venga reintrodotta la pena di morte in Europa. Il Trattato, infatti, prevede che, in caso di guerra o di crisi europea, possa essere introdotta, in alcuni casi, la pena di morte [10]: ora, cosa significa "stato di crisi europea"? La Corte di Giustizia, in base a che criteri deciderà il livello di crisi? E in che ambiti verrà applicata?
Dulcis in fundo, il punto 2 dell'articolo 2 - riguardante il diritto alla vita - del Trattato dell'Unione Europea sentenzia che "La morte non si considera inflitta in violazione di questo articolo quando risulta da un ricorso alla forza resosi assolutamente necessario [...] per reprimere, in modo conforme alla legge, una sommossa o una insurrezione." [11] . Anche qui i dubbi sorgono spontanei: cosa viene inteso per "sommossa"? La polizia avrà carta bianca per eliminare indiscriminatamente ogni manifestazione contraria all'ordine costituito? Assisteremo di nuovo a repressioni bagnate di sangue, senza che i colpevoli vengano puniti?

In sintesi, il Trattato di Lisbona appare sempre più come lo strumento principale usato dai governi plutocratici europei per architettare un vero e proprio "colpo di Stato" a insaputa di 500 milioni di liberi cittadini. Tuttavia, non dobbiamo restare passivi ancora una volta dinanzi a questo ennesimo tentativo di imbrigliare le nostre libertà e le millenarie tradizioni del nostro continente, accantonando per una volta i contrasti nazionali e cercando di far conoscere a più persone possibili l'oscuro progetto che questi politici affaristi hanno disegnato per trasformare l'Europa in un'organizzazione daneistocratica votata al profitto dei banchieri e delle multinazionali e al controllo delle libertà dei singoli cittadini.

Non sono i popoli a dover aver paura dei propri governi, ma sono i governi che devono aver paura dei propri popoli. - Thomas Jefferson




Note

[1] vedi art.1 della Costituzione della Repubblica Italiana http://www.governo.it/governo/costituzione/principi.htm
[2] vedi testo del Trattato di Lisbona http://eur-lex.europa.eu/JOHtml.do?uri=OJ:C:2007:306:SOM:IT:HTML
[3] http://www.politichecomunitarie.it/comunicazione/7420/referendum-in-francia-no-alla-costituzione-europea
[4] http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2009/10/3/irlanda-verso-la-vittoria-del-si.html
[5] http://www.paolobarnard.info/intervento_mostra_go.php?id=139
[6] vedi video del discorso di Farage http://www.youtube.com/watch?v=Z3h0kf6sKIc
[7] vedi nota [5]
[8] vedi nota [5]http://www.blogger.com/post-edit.g?blogID=4312845773464376975&postID=406508185518997046
[9] vedi i rimandi del Trattato di Lisbona agli altri trattati correlati
[10] http://conventions.coe.int/Treaty/ita/Treaties/Html/114.htm
[11] vedi modifica art.2 del Trattato dell'Unione Europea e/o http://newstandout.blogspot.com/2009/10/il-trattato-di-lisbona-reintriduce-la.html




Silone sotto il tappeto


di Piero Rosso


Capita spesso di leggere un libro e rimanerne talmente affascinati da ricercare quasi inconsciamente un approfondimento. Di un autore si scoprono così le coordinate della posizione nell’universo, storico e letterario, nel quale si colloca. Se ne circoscrive l’esistenza in un angolo ristretto e controllabile che pertanto spaventa di meno chi ne affronta l’esplorazione.

A questo punto cosa succederebbe se in questo angolo, del quale ormai ci si sente padroni, si trovasse, una variabile ingestibile, un’anomalia piccola ma sufficiente ad incrinare la sicurezza che si ha nei confronti di un argomento? Come una botola, che abita da prima di noi una casa e che rinveniamo casualmente una delle rare volte che spolveriamo sotto il tappeto. Aprirla e rischiare di trovarvi qualcosa di spiacevole o fare finta di niente, lasciarla lì dove sta e coprirla bene in modo che nessun altro la trovi, oltre che al nostro sguardo che immancabilmente andrà a posarsi curioso sul tappeto, non appena ne avrà l’occasione. Che fare?
Questa sensazione di spaesamento è quella che si prova nell’avventurarsi in quello che un tempo era il caldo e avvolgente cantuccio di Ignazio Silone. Se volessimo gettare le basi dell’arredamento di quest’angolo, inizieremmo con la sua significativa data di nascita, scelta dal padre – che decide di aspettare due giorni per farlo registrare all’anagrafe – un 1° Maggio (del 1900), per poter affermare che il suo interesse sociale, ipoteticamente lo abbia accompagnato sin dal primo giorno. Continueremmo poi con il suo nome d’arte (in realtà Severino Tranquilli), Silone, che mutua nel 1923 da Quinto Poppedius Silo, capo della resistenza dei Marsi nella guerra sociale contro Roma nel 90 a.C.; solo dieci anni dopo aggiungerà il nome Ignazio, in occasione della prima pubblicazione, ad opera di una cooperativa socialista presso Sciaffusa in Svizzera, di Fontamara. Ed è proprio questo libro che costituisce il solido mobilio del nostro angolo; denuncia sociale solida come “un mattone nello stomaco della borghesia meridionale italiana”, un romanzo in cui ogni attenzione veristica è riservata esclusivamente ai “primi contadini che appariscono di carne ed ossa nella letteratura italiana” (lettera di Silone a Gabriella Seidenfeld da Davos, 29 luglio 1930).
Ora è necessario aggiungere all’arredamento qualche pianta, le radici che Silone getta nell’essere nel 1921 tra i fondatori del PCI di Togliatti e Gramsci. Nel 1927 a Mosca, dove si reca con Togliatti alla riunione dell’esecutivo del Komintern, in occasione della liquidazione di Trotzkij e della stalinizzazione, nasce in lui una crisi nella fede comunista che si concretizza nel 1931, quando lascia il partito alla ricerca di un socialismo autonomo, privo delle ideologie di cui la nevrosi PCI sembra essere infetta. È estremamente convinto che ogni partito antitotalitarista sia destinato a diventare, una volta al potere, il sostituto del regime che ha appena rovesciato. In Pane e Vino del 1935 scrive:
Ogni idea nuova per propagarsi, si cristallizza in formule; per conservarsi si affida a un corpo di interpreti, prudentemente reclutato, talvolta anche appositamente stipendiato, e a ogni buon conto, sottoposto a un’autorità superiore, incaricata di sciogliere i dubbi e reprimere le deviazioni. Così ogni nuova idea finisce sempre col diventare un’idea fissa, immobile, sorpassata. Quando questa idea diventa dottrina ufficiale dello Stato, allora non c’è più scampo.


Parole dettate dal suo profondo pessimismo politico, che però non gli sono mai servite da alibi per fuggire dalla lotta sociale.
Poi, signore e signori, quando l’angolo è ben arredato e accogliente, si scopra e si apra la botola: il Silone, si firma Silvestri, che intraprende relazioni informative con la Questura di Roma sulle attività delle organizzazioni comuniste, relazioni iniziate ben dieci anni prima dell’arresto per militanza clandestina del fratello Romolo – dunque esclusa l’ipotesi di una collaborazione al fine di salvarlo dal carcere. Sotto il tappeto troviamo un uomo completamente diverso dallo scrittore. Scopriamo di averlo studiato solo di profilo, il Silone dimezzato, e di non esserci accorti della sua doppia natura, di avergli creduto e di essere stati ingannati.
È ormai certo che i primi dispacci di Silone risalgano al 1923, inviati al commissario della questura Guido Bellone, poi ispettore generale presso la divisione Polizia politica, che fu l’unico funzionario di polizia con cui lo scrittore ebbe rapporti. Non è sicuro però come cominciarono; un suo probabile arresto nel 1919 potrebbe far pensare ad un ricatto: la sua liberazione in cambio di informazioni; tattica usata spesso dalla polizia con i militanti giovani e inesperti. Nuovamente in Pane e Vino Silone inserisce un personaggio che è stato profondamente rivalutato dalla critica alla luce delle nuove scoperte: Luigi Murica. Appare interessante un suo dialogo:
«[racconta del suo arresto per militanza] venni schiaffeggiato e sputacchiato durante un’ora. Forse avrei sopportato più volentieri delle violente battiture, piuttosto che quegli schiaffi e sputi. Quando la porta della sala si aprì e comparve il funzionario che doveva interrogarmi […] sgridò, o finse di sgridare i suoi subalterni, mi fece lavare e asciugare, mi condusse nel suo ufficio e mi assicurò di essersi occupato del mio caso con benevolenza e spirito di comprensione. […] Aveva informazioni sulla mia famiglia e sulle difficoltà che mettevano in pericolo la continuazione dei miei studi. […]»
«In poche parole» interruppe don Paolo «quel funzionario le propose di mettersi al servizio della polizia. Lei che cosa rispose?»
«Accettai»

Murica si tormenta per questa scelta, benché la sua vita dipenda dal sussidio che la polizia gli fornisce in cambio delle informazioni. Durante la militanza incontra una ragazza che gli fa conoscere un lato della vita inimmaginabile: il vivere puro, onesto e cosciente. Questa scoperta, però, non fa altro che acuire il suo tremendo rimorso: “Di pari passo si scavava un contrasto incolmabile tra la mia vita apparente e la mia vita segreta. […] Se i compagni del nuovo gruppo mi ammiravano per il mio coraggio e la mia attività, essi mi richiamavano alla coscienza che, in realtà, li tradivo”. Silone, ugualmente tormentato, nel 1930 invia un’ultima lettera all’ispettore Bellone con la quale tronca ogni rapporto e chiede di non essere mai più contattato.
Come gustare, dunque, una mela per metà splendida e per metà marcia? Probabilmente tagliarla fisicamente in due parti, senza però gettare la parte nera e rugosa, in quanto anch’essa è stata fondamentale per la formazione del frutto, elemento che valorizza la mela stessa, in quanto capace, nonostante tutto, di accudire e sviluppare in sé, un lato lucente e succoso. Le mele, gli scrittori, “non sono un clero laico che amministri spiritualmente l’umanità né capiscono la vita e la politica necessariamente meglio di altri. Molti fra i più grandi scrittori del Novecento sono stati fascisti, nazisti, comunisti adoratori di Stalin; continuiamo ad amarli, a capire il tortuoso e spesso doloroso itinerario che li ha portati a identificarsi con la malattia scambiandola per una medicina e a imparare da essi pure una profonda umanità” (Claudio Magris, Letteratura e impegno: il cuore freddo degli scrittori, «Corriere della Sera», 21 ottobre 2007). Il giudizio all’assaggiatore.



01/12/09

Case, palazzi, grattacieli e in mezzo un dramma vecchio come il nostro.

di Eliana Arnò

Davanti a me c'era C. Si era fatta da poco l'henné e i suoi capelli tra il rosso scuro e il mogano profumavano di buono. Mi divertivo a soffiarle nei capelli e a guardarli mentre sbarazzini e coraggiosi tornavano al loro posto. Dietro di me si era appoggiata una ragazza. Non ne ricordo il nome: pensai solo che non doveva essere tanto più alta di me, sentivo le sue tette sulle mie scapole.
Eravamo in fila e aspettavamo il segnale di B. che ci avrebbe fatto mettere una di fianco all'altra. Il segnale arrivò, e disponendoci come previsto, mi trovai davanti ad un albero dal tronco malconcio. Era il momento di lasciare a terra i bigliettini che tenevamo saldamente in mano: saldamente perché le mani cercavano invano di ripararsi dal freddo. Era bella l'idea del bigliettino incastonato in quel tronco della Val Rosandra. Così, dopo qualche manovra, lasciai quel foglietto con su scritto "
Io cammino da sola" lì da solo, a riflettere su quella giornata, mentre gli occhi di tutti erano per noi, e non per lui.
Eravamo in poche, in piazza O. Cinque, forse sei...quasi tutte con le facce assonnate. In realtà erano già le otto e mezza del mattino, ma sognavamo tutte la stessa cosa: un capo in b. Dopo un pò arrivò il pullman ed il resto delle ragazze. Quel giorno saremmo andate a Muggia, Bagnoli, Trieste, Opicina, Duino, e lì avremmo sfilato. Una ragazza venuta da Venezia la sera prima avrebbe accompagnato le sfilate con la fisarmonica, unica voce del gruppo.
L'idea era di camminare in fila lungo le strade, in silenzio, indossando con semplicità gli abiti che le sarte di Cassiopea ci avevano aggiustato addosso. All'asta il ricavato dei nostri abiti sarebbe stato donato a una donna vittima di violenza.
Eravamo un'allegra brigata dagli undici ai cinquant'anni. Era divertente vederci assieme: chi indaffarata a cambiarsi, chi a truccarsi, chi a ripararsi dal mal d'auto..per non parlare dei soliti discorsi da donna, quelle banali e gustose sentenze sull'ultima frontiera dell'assorbente.
Insomma, cominciava bene quella giornata: ci sentivamo leggere, euforiche, nonostante il grigio umido della città e il peso che portava quella data: era il 25 novembre.
Quarantanove anni prima tre sorelle, un pò meno silenziose della nostra sfilata dal passo leggero, erano state brutalmente trucidate. Il rumore della loro morte fu così forte che a distanza di anni si decise di ricordare quel giorno e di dargli un nome:
giornata internazionale contro la violenza sulle donne.
La violenza di genere però è fin troppo silenziosa: i casi di violenza non denunciati superano i casi in cui la donna trova la forza di parlare.
Conobbi una persona qualche tempo fa. Mi raccontò che capì di esser stata violentata soltanto dopo aver parlato con degli amici. Il suo "No, non voglio" di una stupida serata passata tra fumi dell'alcool e fumi, le sembrò troppo poco convincente che quasi si era sentita responsabile dell'accaduto. Come può una donna non capire di esser stata violentata?
Mi è difficile comprenderlo. Probabilmente la vergogna di riconoscere che la situazione creata poteva essere evitata era tale da farla sentire responsabile. Che rovinosa questa vergogna che porta dritto al senso di colpa. Se una donna arriva a sentirsi responsabile, il mondo che le gira attorno deve farla sentire come la mela rossa della tentazione, come una colpa primitiva e ancestrale. La società ha occhi e testa di uomo ma corpo di donna; ci si è abituate a darsi la colpa anche da vittime. Il problema però è doppio. La donna è preda di questa società maschilista che la giudica e contemporaneamente è vittima di se stessa, educata dai medesimi princìpi che la opprimono; ma l'intimo pensiero che una persona ha di sé è mille volte più cupo e senza fine di qualsiasi altro.
Mentre sfilavamo, un uomo violando il silenzio che ci portavamo addosso disse: "Se andaste in giro vestite sempre così, non avreste da temere stupri. Brave, brave". I nostri abiti erano neri misti a color panna. Le gonne arrivavano sotto le ginocchia, gli scialli o le mantelline ci coprivano le spalle, le scarpe sobrie: gli ornamenti non erano molto vistosi, c'erano delle cuciture sinuose che s'insinuavano nei tessuti. Solo un idiota avrebbe potuto confondere la dignità dei nostri abiti con un'armatura fittizia. Oltre ad essere di cattivo gusto, è una chiara manifestazione di come comunemente viene vista la violenza sulle donne, cioè come puro fatto fisico, oscurando o non considerando nemmeno quella violenza talmente silenziosa da essere assordante, quella che si perpetua nel tempo, nascosta negli angoli delle case da persiane semichiuse; una violenza in sordina che porta il nome dell'indifferenza.
La sfilata si è conclusa davanti all'ingresso del teatro dell' ex opp. Ognuna di noi aveva una frase da leggere: frasi scelte tra le tante scritte da donne contro la violenza che ci affligge.
Inizia B. a leggere poi, scavalcandola C., dopo ancora tocca a me, e con la voce salto sopra le parole che volavano nell'aria.
Come una fila di domino, prendevamo il via una dopo l'altra, fino a che il bisbiglio si fece brusio, e il brusio scroscio, e lo scroscio divenne voce, una voce sola.

(il mio) film del mese:
Matrimonio all'italiana, di Vittorio De Sica, 1964.
Il titolo dell'articolo è tratto dal film sopracitato.

Trieste. Un demone disteso ad asciugare.

di Omar Longo


Casa. Scale. Scooter. In fondo alla via a sinistra. Semaforo. Verde. Via. Le auto attorno in correnti alterne. I fanali rossi delle luci posteriori anticipano il rosso all'incrocio. Aspetti masticando smog che il flusso si rianimi, costretto, costipato in una subitanea immobilità che non gli è congeniale. La piazza intravista accoglie l'inizio settimana con un pulviscolo di passanti che incrociano le loro scie speziate di coperte, di colazioni frettolose, in un intreccio di volti che non nascondono le pieghe del cuscino.
Tutti sanno dove stanno andando, pochi guarderanno dove. La ripetitività, l'abitudine, la mo notonia appiattiscono i sensi. Giorno dopo giorno la città viene vissuta in maniera utilitaristica; forse perché solo l'utilitarismo e la praticità spingono tante persone ad ammassarsi in isole di cemento.
Vivere la città in modo funzionale e abitudinario uccide la percezione della città stessa: è l'amico d'infanzia che non cambia mai, è il vecchio marito che più non può stupire, né entusiasmare.
Una visione statica che palesa il panificio come luogo in cui comprare il pane, la scuola come luogo per studiare, la via come spazio trasitorio da percorrere. Palazzi, strade, parchi scorrono come sfondi dell'agire quotidiano, scenografie inevitabili.
Ma ogni città ha un suo demone: uno spirito inafferrabile che serpeggia annidandosi ovunque: nelle piazze, agli angoli delle vie, all'entrata di un negozio. Non puoi vederlo, ma c'è e parla, e in epoche di conformismo feroce, di dittatura, urla così forte che gli uomini sono capaci di tutto pur di metterlo a tacere; un mostro multiforme che ha nidificato nella storia; un demone cittadino nato con gli sviluppi del centro abitato, maturato nutrendosi di rapporti causali.
La sua tana è la visione utilitaristica della città.
Conoscere la città significa sapere dov'è la tal via, la tale piazza, il determinato ufficio, il dato luogo di culto. Ciò ci permette di sfruttarla al meglio, muoverci con rapidità in una visione chiara della struttura cittadina: chiara, ma non vera. Se la verità non è chiarezza ma disvelamento (alètheia), nulla si dispiega dell'essenza di una città, se non i meri rapporti economici che la reggono. Il demone è tranquillo; non può essere visto anche se disteso al sole sulla piazza centrale. Spesso però accade che un gioco di rimandi di luce ne faccia percepire la presenza, che attraverso un abbaino si lasci intravedere: sono i momenti in cui, usciti dai luoghi di studio, di lavoro, dai bar, lo sguardo cade accidentalemente stanco e svogliato su una lapide commemorativa o sulla facciata di un palazzo che si discosta dagli altri. Se la curiosità abbatte la pigrizia, permettendo un'attenta osservazione, il demone comincia ad agitarsi; sa di poter esser svelato. Si muove con la titubanza di un animale avvicinato dall'uomo, ma nello sguardo lascia intuire l'intesa e i futuri giochi.
Trieste mostra il suo demone emerso dall'acqua appoggiato agli scogli del Carso ad asciugare, stretto in un lembo di terra troppo sottile per esser solo italiano: un demone che ha vissuto la città di frontiera, il porto franco della tolleranza religiosa.
- Come ti chiami? - spesso è la prima domanda nelle presentazioni, ma qui, la seconda è sicuramente - Da dove vieni? -. Qui la zolla di terra che ti ha cresciuto ha un significato preciso. Lo spazio è angusto, le etnie e i credi sono tanti. Venire da un luogo o da un altro a 4 km di distanza non è affatto lo stesso.
Il mio primo articolo all'interno di Pot-Pourri è un articolo programmatico: la traccia di un percorso per capire, conoscere e addomesticare il demone della città, per scoprire la sua storia, storia della sue genti.
Verde. Parti. La città corre veloce. Rosso. Ti fermi. Stop. Riparti. Rosso. Ti fermi. Stop.